giovedì 24 novembre 2011

Il libro della settimana: Riccardo De Benedetti, Céline e il caso delle “Bagatelle” , Medusa, 2011, pp. 163, euro 14,00.

http://www.edizionimedusa.it/


A pagina 103 di Una Teoria della giustizia di John Rawls (Feltrinelli, ed. 1982), secondo alcuni il capolavoro del filosofo liberal americano, si legge: «Una società aperta incoraggia la più ampia diversità genetica. Inoltre è possibile adottare politiche eugenetiche più o meno esplicite. Non intendo occuparmi di problemi di eugenetica, e mi limiterò agli obiettivi tradizionali della giustizia sociale». Tuttavia, continua Rawls « la ricerca di politiche ragionevoli per questo scopo è qualcosa che è dovuto dalle generazioni precedenti a quelle successive, essendo questo un problema che si manifesta tra generazioni. Perciò una società deve prendere nel corso del tempo, iniziative che come minimo garantiscono il livello generale delle capacità naturali, e impediscono la diffusione di gravi imperfezioni».
Nel cuore dell’Impero, anno di grazia 1971, il maggior filosofo liberaldemocratico, si lasciava scappare dalla penna un’affermazione che probabilmente, pur ritenendola troppo blanda, Louis-Ferdinand Céline avrebbe condiviso nel 1937. Ovviamente, scagliandola, a sua volta, contro gli Ebrei, eugeneticamente pericolosi… Ma Céline avrebbe sottoscritto la frase di Rawls, non tanto come più che simpatizzante di un’ideologia razzista, ma innanzitutto quale medico e moderno “credente” nei grandi poteri curativi della scienza moderna, anche come seria possibilità scientifica di purificare la “razza”.
Proprio a questa inquietante fede trasversale nella scienza, pensavamo, leggendo il denso libro di Riccardo De Benedetti dedicato allo scrittore francese: Céline e il caso delle “Bagatelle” (Medusa, 2011, pp. 163, euro 14,00). Dove, con stile accuratissimo e ricchezza di idee, si ricostruisce la storia di un «libro maledetto», violentemente antisemita, che ancora oggi è impossibile acquistare o leggere, se non in edizione clandestina. Opera, a suo tempo, esclusa dall’edizione Pléiade per espresso divieto della famiglia. Scrive, infatti, Lucette, consorte di Céline, di cui giustamente De Benedetti riporta l’interessante testimonianza (le parentesi quadre sono nel testo): «Oggi [2001, all’età di 89 anni], la mia posizione sui tre pamphlets di Céline: Bagatelles pour un massacre, L’Ècole des cadavres e Les Beaux Draps, [manca significativamente, e onestamente, Mea Culpa] rimane molto ferma. Ho interdetto la loro riedizione e, senza sosta, intentato processi a tutti coloro che, per delle ragioni più o meno confessabili, li hanno pubblicati clandestinamente, In Francia come all’estero. Questi pamphlets sono esistiti in un certo contesto storico, in un’epoca particolare, e non hanno causato a Louis e a me che del male. Ai nostri giorni non hanno alcuna ragione di esistere (…) Anche ora, e precisamente per le loro qualità letterarie, essi possono, presso alcuni spiriti, manifestare un potere malefico che ho voluto, a qualsiasi prezzo, evitare. Ho la coscienza della mia impotenza a lungo termine e so che, presto o tardi, risorgeranno in tutta legalità, ma non ci sarò più e ciò non dipenderà più dalla mia volontà » .
Ecco, si dovrebbe ragionare più a fondo sul concetto di «potere malefico», comunque lo si intenda, invece di perdersi nei meandri dell’ inutile diatriba tra critici fascisti e antifascisti sulla liceità o meno di pubblicare il Céline antisemita… Un aspetto, quello del «potere malefico», che invece De Benedetti, da ottimo conoscitore di Eric Voegelin approfondisce: «Come mi sono limitato ad accennare poco sopra, la nozione di razza ha ben poco a che fare con la religione; la sua costruzione e declinazione in termini politici fa totalmente a meno del linguaggio religioso confessionale. Non si vuole ammettere, qui come in tanti luoghi della discussione contemporanea, che anche il processo di secolarizzazione-laicizzazione ecc, produce i suoi mostri. Quello razzista gli si addice, in misura non certo inferiore a quanto sia stato addebitato al cristianesimo l’antigiudaismo».
Eccellente. Céline portatore (neppure sano) di un male moderno, che attraversa comunismo, fascismo, democraticismo, e persino certo liberalismo progressista, come abbiamo visto a proposito di Rawls: quello, per dirla con De Benedetti che riprende Voegelin, della «commistione di discorso scientifico e progettualità politica».
Un punto colto molto bene nella postfazione anche da Giancarlo Pontiggia, l’ eccellente traduttore dell’edizione Guanda, uscita e subito sequestrata nel 1982: «Se Céline è un autore corrosivo, pericoloso non è certo per i contenuti che esprime nei suoi pamphlet, così semplicistici e iperbolici da apparire a volte ridicoli, semmai per il violento attacco che muove alla cultura umanistica (che liquida, anche stilisticamente, con la dicitura di “stile-liceo”) e perciò all’idea di umanità, di civiltà che essa ha saputo sviluppare. In questo egli è veramente, integralmente moderno, rappresenta anzi il punto di svolta verso la piena modernità novecentesca, che si esprime - come è noto - nella rinuncia a un pensiero strutturato, nel potere accordato alla forza emotiva e viscerale delle parole, dei suoni e delle immagini; nella definitiva liquidazione di ogni gerarchia critica ed estetica» .
Giusto. Ma facciamo un passo indietro. Quando nasce la cultura umanistica? E di quale modernità si parla? Quella di Erasmo da Rotterdam o di Francesco Bacone? Quella di Pascal o dei Libertini? Quella di Vico o di Helvétius ? Quella di Rousseau o di Burke? E cosi via, fino alle profonde pagine di José Ortega y Gasset, Raymond Aron e François Furet sui “moderni” totalitarismi economici e politici novecenteschi.
Cosa vogliamo dire? Che il vero punto della questione non è tanto quello di discutere se celebrare o meno, come sembra suggerire De Benedetti, peraltro neppure con grande (crediamo) convinzione personale, il Céline «cantore di questa fine senza inizio». La modernità ha senz’altro un inizio e uno slittamento o deviazione. E probabilmente avrà anche una fine… E di queste cose, ossia delle “Bagatelle” della modernità, magari partendo proprio da quelle di Céline, che si dovrebbe ragionare. O no?
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Carlo Gambescia



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