martedì 13 settembre 2011


Shibari
Il sesso nell’epoca della sua riproducibilità tecnica


.
Partenza stratosferica. Walter Benjamin, un irregolare del pensiero novecentesco, ne L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, scrisse che grazie al cinema, alla macchina fotografica, al disco, « la cattedrale» avrebbe abbandonato « la sua ubicazione per essere accolta nello studio di un amatore d’arte». Insomma, l’arte, grazie alla tecnica, si sarebbe fatta meno elitaria e più collettiva, al prezzo però di dipendere interamente dal mercato. E così è stato. Di qui, tuttavia, due fenomeni: da un lato la trasformazione dell’arte in intrattenimento di massa, dall’altro, la possibilità per il fruitore, magari scattando fotografie, di sentirsi, senza esserlo realmente, un artista.
Dove vogliamo andare a parare? Presto detto: riflettere su quel che è successo a Roma, dove in uno squallido non luogo postmoderno, un garage, si è consumata, come dire, la tragedia - e non sarà l’ultima - della riproducibilità tecnica, ma a sfondo sessuale.
Gli elementi c’erano tutti: l’opera d’arte, rappresentata da un’antica tradizione di legatura giapponese, finalizzata nel caso a una pratica sessuale (lo shibari); il kit di massa del bondage post-moderno, ritrovato nel bagagliaio dell’auto del presunto Maestro, un cassaintegrato; le due piccole Justine, studentesse, sospese tra studio e lavoretti…
Che cosa è successo? Che un conto è scattare male una foto, un altro, riprodurre una tecnica, come quella shibari, che richiede una manualità fuori dal comune, frutto di una sapienza antica ed elitaria.
Purtroppo, “artisti” non ci si improvvisa… Walter Benjamin, a proposito dell’arte di massa, scriveva di «ricezione nella distrazione».
Ecco, il punto è che lo shibari, non consentiva e non consente alcuna distrazione.

Carlo Gambescia

Nessun commento:

Posta un commento