mercoledì 7 settembre 2011


Progresso? Non basta la parola




 Il progresso è quella cosa… difficile da definire… Va però detto che, probabilmente, Giambattista Vico era sulla buona strada: Ascoltiamolo: « Gli uomini prima sentono il necessario, di poi badano all’utile, appresso avvertiscono il comodo, più innanzi si dilettano del piacere, quindi si dissolvono nel lusso, e finalmente impazzano in istrapazzar le sostanze » (Scienza nuova).

Detto altrimenti: l’uomo talvolta è il peggior nemico di se stesso, dal momento che è tanto abile a costruire quanto a distruggere. Ergo, il progresso è sempre temporaneo e segnato da periodici avvitamenti e regressioni. Alti e bassi, insomma.
Naturalmente, un tema così ampio non può essere risolto in poche battute o righe. Quel che però si può fare è fornire alcune indicazioni sulle varie posizioni ideologiche in argomento. Dopo di che, tana libera per tutti.
Doverosa premessa: la vera differenza, quando si parla di progresso, è fra chi crede nel progresso morale dell’uomo e chi no.
Ad esempio, il neo-talebano Massimo Fini, non crede nel progresso morale dell’uomo ( che, detto in soldoni, significa non confidare nella forza trasformatrice dell’educazione). Viceversa, Serge Latouche, altrettanto critico nei riguardi dell’ideologia del progresso, vi crede fermamente. Tuttavia, Fini e Latouche insistono sulla necessità di una decrescita economica… E quindi sull’ importanza del regresso materiale.
Qui però sorge un problema, soprattutto per i neo-talebani, dal momento che se non si crede nel progresso morale dell’uomo, diventa poi difficile, se non impossibile, indicare alternative valide all’idea di progresso materiale. E per un semplice motivo: l’idea di perfettibilità morale (attraverso il condizionamento culturale dell’uomo) impone di credere nell’umana possibilità di crescere ( o progredire ) interiormente. Inoltre, chiunque predichi la decrescita materiale, non può ignorare, alcune costanti sociologiche che attraversano la storia dell’umanità, come la regolarità amico-nemico. Ma facciamo un esempio.
Come accennato, l’idea di decrescita implica la necessità di credere nella capacità di progresso morale dell’uomo. Infatti, il rifiuto del modello di vita consumistico non può non essere frutto di una progressiva crescita spirituale-morale. Tuttavia, l’idea di educare alla decrescita implica anche un problema di tipo politico: come comportarsi con coloro che rifiutino di modificarsi spontaneamente? Come regolarsi con coloro che non vogliano o possano partecipare ai processi (obbligatori e istituzionali) di educazione collettiva? Come comportarsi con gli amici del progresso materiale? Fini, neo-talebano, sarebbe per l’eliminazione dei renitenti (scherziamo, ma fino a un certo punto…); Latouche, più moderato, per la rieducazione obbligatoria. Ma è giusto costringere l’uomo ad essere libero? E poi libero in che senso? E in nome di quali valori? Quelli decrescisti? E chi ci assicura che siano più giusti di quelli capitalisti?
Riassumendo, sul progresso, vanno registrate almeno tre posizioni: 1°) quella degli “imperfettisti totali” , che rifiutano il progresso, non credendo in alcuna possibilità di crescita dell’uomo, spirituale e materiale, come Massimo Fini; 2°) quella dei “perfettisti a metà”, che invece credono nel progresso morale come fattore per introdurre la decrescita materiale, come Latouche; 3°) quella dei “perfettisti materiali”, che celebrano gaiamente il progresso tecnologico ed economico quale sinonimo di progresso culturale, come gli attuali sostenitori della globalizzazione da oltranza.
La prima posizione è regressiva. Dal momento che resta legata alla celebrazione di mummificate “Età Tradizionali”. Un vicolo cieco. Roba da talebani, appunto.
La seconda posizione non è del tutto regressiva, dal momento che è progressiva in senso morale. Tuttavia, tende a ignorare, come nel caso di Latouche, il ruolo del politico e del rapporto, non lineare, tra educazione spontanea (individuale) e obbligatoria (collettiva). Inoltre, il decrescista francese sembra sottovalutare anche la diversa “tempistica”, da regolare “politicamente”, tra progresso morale (meno veloce) e progresso materiale, tecnologico ed economico (più veloce). Insomma, per così dire, un mezzo vicolo cieco.
La terza posizione, quella tecnocratica e mercatista punta invece sul costante e globale sviluppo materiale. Il che, alla lunga, rischia di fare la bua all’intero pianeta Terra. Altro vicolo cieco.
Come concludere? Che sotto il cielo regna una grande confusione. Probabilmente, per tornare a Vico, siamo nella fase storica, in cui si « istrapazzano le sostanze». Poveri noi.

Carlo Gambescia

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