venerdì 10 giugno 2011

Pacifismo referendario
Al vuoto, al vuoto...





Domenica (e lunedì) non andremo a votare. Del resto la legge lo consente. E neppure ci sfiorano le critiche, già nell’aria, per il possibile non conseguimento del quorum a causa di “disertori” come noi ("disertore", il lettore prenda subito nota del termine...). Come non ci tocca la compagnia del Cavaliere o di quei ministri pidiellini che non andranno a votare perché, come si legge, “ si tratta di un voto contro il Governo". E per una ragione molto semplice: perché la nostra scelta non è contro né a favore del Governo... E allora che cos'è ? Diciamo che è un "non voto" di protesta contro gli isterismi di tutti i tipi: governativi, antigovernativi, nuclearisti, antinuclearisti, liberalizzatori, antiliberalizzatori, giustizialisti , antigiustizialisti. I lettori sanno quanto disistimiamo l’antismo. E il referendum è lo strumento antista per eccellenza: pro o contro, senza sfumature e ragionamenti. Di conseguenza non ne abbiamo mai capito il senso istituzionale, né gradito il sottile potere di disorganizzare i rapporti politici tra cittadini, infiammandoli oltre il lecito.
Del resto Hannah Arendt non ha scritto che la politica, in quanto basata sul contrasto tra diversi, è in parte uno sforzo per organizzare “a priori gli assolutamente diversi in vista di uguaglianza relativa, e per distinguerli dai relativamente diversi”?
Ecco il referendum, se seguiamo il filo del ragionamento arendtiano, pone gli uni contro gli altri armati e per giunta in nome di una assoluta (o perfetta) diversità, ideologicamente inconciliabile, e quindi non organizzabile a priori attraverso un pacato ragionamento istituzionale sul bene comune (ovviamente, "bene" non perfetto, come invece pretendono i referendari antisti, ma sempre relativo e imperfetto...). Ma il sale del Politico non è il conflitto amico-nemico? Certo, però proprio perché (per fortuna) viviamo in una democrazia liberale, fatta di regole e procedure, ci si può sottrarre singolarmente, salvo pagarne, se ci saranno, le possibili conseguenze, anche negative, e non solo sul piano individuale... Ma è così: la vita è rischio, scommessa, incrociarsi pericoloso e talvolta perverso di individuale e collettivo, quindi imperfetta... In questo senso il conflitto esiste: è nelle cose. Certo, può essere addomesticato, ma non soppresso. Addomesticato, in nome dell'arendtiana organizzazione delle diversità. Di sicuro, lo scontro referendario resta preferibile alla guerra civile e alla guerra tout court. Ma attenzione: la differenza, tra “battaglia referendaria” e “battaglie vere" resta sempre di grado non di specie. E in guerra, come per i referendum, non c’è tempo per le sfumature: si vince o si perde. Però si può disertare. Diciamo perciò, per rimanere in metafora, che il nostro è un pacifismo referendario.

Carlo Gambescia

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