lunedì 16 maggio 2011


Il risparmio degli italiani e il “ciclo della sfiga”



A metterla sul tenero si potrebbe dire che gli italiani non si comportano più da giudiziose formichine. Infatti, una recente indagine dell’Ufficio Studi della Confcommercio( http://www.confcommercio.it/home/ArchivioGi/2011/-Viaggio--nel-risparmio-delle-famiglie-dal-1990-ad-oggi.htm_cvt.htm ) , sulla quale non si è però riflettuto abbastanza, ha rilevato che nel 2010 le famiglie italiane hanno risparmiato, di media, solo millesettecento euro rispetto ai quattromila (in termini reali) del 1990. Se prima, su ogni cento euro se ne mettevano via ventitré, oggi si è scesi a dieci. Inoltre, altro dato preoccupante, un italiano su tre non riesce ad accantonare un solo euro.
Magari, ci siamo trasformati in cicale? No. Perché i dati evidenziano che nello stesso periodo il reddito procapite (ai prezzi del 2010) è rimasto tale e quale: intorno ai diciassettemila euro. Di conseguenza, quando c’è poco da scialare, prima si tappano buchi “aperti” in passato (mutui e rate varie), poi, per il futuro, si vedrà.. Ma soprattutto si finisce per consumare poco, come appunto mostrano le statistiche.
Non c’è di che stare allegri, perché la ripresa economica sembra lontana mentre l’aggiustamento di bilancio vicino, stando almeno alle ultime della politica.
Ma perché si risparmia di meno? Il dato di fondo è psicologico. E riflette la lunga transizione politica che l’Italia sta attraversando da vent’anni. Una “traversata” che sembra non finire mai. Ci spieghiamo meglio. Mentre gli anni Ottanta furono gli anni da bere, quelli dell’euforia, dei redditi che crescevano insieme ai consumi, con un risparmio che teneva abbastanza, il successivo ventennio, apertosi con Tangentopoli, è stato vissuto dagli italiani all’insegna di una marcia nel deserto, dove, come si sa, di acqua potabile… A parte gli improvvisi miraggi, come ad esempio le promesse politiche non mantenute… E si badi bene, a Destra come a Sinistra.
Ovviamente i due dati (psicologico ed economico) si sono sostenuti e rafforzati a vicenda, fino a dar vita a un mix, se ci si passa l’espressione, della “sfiga”: se la sfiducia è diffusa e il reddito non cresce, non si consuma ma neppure si risparmia. Magari si tappano i buchi, finché possibile, assottigliando man mano i risparmi residui.
C’è infine un dato sociologico, evidenziato dallo storico Valerio Castronovo, il quale in un ottimo articolo sul Sole ( http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2011-05-09/borghesia-rischio-estinzione-063752.shtml?uuid=AaX2QVVD ha osservato che i dati di cui sopra «sono tanto più preoccupanti se si considera che la propensione al risparmio è sempre stata una delle attitudini preminenti del ceto medio e uno dei principali fattori della sua stabilità sul piano sociale ». Problema non da poco. Perché, secondo una tesi che risale addirittura al buon Aristotele, la crisi del ceto medio implica regolarmente quella del sistema. Detto altrimenti: qui è a rischio la spina dorsale del Paese.
Possibile che non si capisca che gli italiani, per tornare a risparmiare e consumare in modo equilibrato, prima che di investimenti e di giusti incrementi di reddito, hanno bisogno di certezze politiche?

Carlo Gambescia

Nessun commento:

Posta un commento