venerdì 10 dicembre 2010

A molti lettori non sarà sfuggito l'articolo di Marcello Foa sulla possibilità che alla caduta di Berlusconi possa far seguito un "governo tecnico" (http://blog.ilgiornale.it/foa/2010/12/01/la-crisi-finanziaria-ci-regalera-il-governo-tecnico/ ). Scrive Foa: "Il governo tecnico provvisorio, di tre mesi in tre mesi diventerà definitivo. Fino alla fine della Legislatura. Il tempo necessario per logorare il Cav ed estrometterlo definitivamente". Ovviamente, Foa parla come Cicerone pro domo sua...
Di riflesso, qualche lettore - sospettoso o disposto a vendere l'anima al diavolo pur di liberarsi del Cavaliere - potrebbe scorgere nel "governo tecnico" il male minore. Perciò, a scopo dissuasivo, pubblichiamo in argomento l'arguto post dell'amico Teodoro Klitsche de la Grange .
Buona lettura. (C.G.)

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Governo tecnico? Ma mi faccia il piacere

di Teodoro Klitsche de la Grange






Tra le ipotesi che si fanno in quello che appare ormai uno scorcio di legislatura, per il dopo voto di fiducia, due prevalgono: da parte degli oppositori di Berlusconi che sia necessario un governo “tecnico”; dall’altra parte l’immediato ricorso alle urne.

E la motivazione – e principale occupazione del governo “tecnico”-, a dire di coloro che lo caldeggiano - sarebbe di rifare la legge elettorale, perché quella che c’è è sbagliata (e siamo d’accordo); ma come bisogna cambiarla, penso di non essere d’accordo - perché le intenzioni delle opposizioni sono, verosimilmente, di togliere (o ridurre) il premio di maggioranza.
Ma c’è un fatto, che mi risulti, nessuno ha notato: se la ragione di un governo “tecnico” è riformare la legge elettorale, significa che questa è una questione (una legge) “tecnica” e non politica. Ma è vero che è tecnica?
Ad essere esatti il costituente ha – opportunamente – sottratto, con l’art. 72 della Costituzione alcune categorie di leggi (tra cui quelle elettorali) alla procedura “semplificata” di esame ed approvazione in commissione, riservandola a quella normale da parte del “plenum” delle Camere. Ma perché le leggi elettorali (e in modo simile le altre enumerate dal IV comma dell’art. 72) non possono essere approvate in commissione? A chiarirlo soccorre – tra l’altro – una forma di “tradizione orale”. Mi raccontava quasi quarant’anni fa l’on. Aldo Bozzi che quando egli era giovane (e attivissimo) deputato alla Costituente, il vecchio Orlando gli ripeteva che, in uno Stato rappresentivo-parlamentare la vera Costituzione è la legge elettorale: perché questa regola la selezione e l’accesso al massimo organo, il Parlamento, il che significa regolare accesso e selezione al potere “supremo”. Ovvero ha la stessa funzione della legge salica (o delle altre leggi di successione) nelle monarchie: garantire la continuità del potere e la certezza dell’avvicendamento allo stesso. Dato che a fare un’unità politica costituita – come scriveva, tra i tanti, Hegel – non sono l’unità “di pesi e misure” e neanche delle leggi, ma il potere supremo di comando, regolare la successione a questo significa garantire l’esistenza (e il perdurare) dell’unità politica.
Può essere definita “tecnica” questa esigenza primaria e imprescindibile per l’ordine comunitario?
A voler poi precisare il senso di “tecnico” in un contesto politico, significa che il potere – quello del governo – dev’essere esercitato da “tecnici” sui non-tecnici, giacché ogni potere, come scriveva Hobbes, è di un uomo su un uomo.
Ma proprio perché è di potere su uomini di cui stiamo discutendo, è chiaro che, tale aspetto è decisivo: non si tratta genericamente di una “tecnica” nel suo significato usuale: quello di regole per dirigere un’attività efficace e in particolare, nell’età moderna, le macchine all’uopo realizzate. Piuttosto appare evidente l’intento di associare un qualcosa di accattivante (il “bravo tecnico”) ad una proposta politica, volta al fine di realizzare un obiettivo politico (una repubblica parlamentare-consociativa) e d’impedire la realizzazione dell’opposto (un regime, in qualche misura, presidenziale-plebiscitario). Cioè un qualcosa d’essenzialmente e squisitamente politico (v. sopra).
Quanto poi a coloro che credono che i “tecnici” siano quanto di migliore offre il mercato ricordiamo il penetrante giudizio di Benedetto Croce il quale a proposito di politica e governi (tecnici o meno) scriveva: “Entrerebbero in quel consesso chimici, fisici, poeti, matematici, medici, padri di famiglia e via dicendo, che avrebbero tutti per fondamentali requisiti la bontà delle intenzioni e il personale disinteresse, e, insieme con ciò, la conoscenza e l’abilità in qualche ramo dell’attività umana, che non sia per altro la politica propriamente detta: questa invece dovrebbe, nel suo senso buono, essere la risultante di un incrocio tra l’onestà e la competenza, come si dice tecnica.
Quale sorta di politica farebbe codesta raccolta di onesti uomini tecnici, per fortuna non ci è dato sperimentare, perché non mai la storia ha attuato quell’ideale e nessuna voglia mostra di attuarlo”.
Alla politica non c’è, insegna don Benedetto, rimedio: farlo credere è ingannare, pensarlo è farsi ingannare.
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Teodoro Klitsche de la Grange


Avvocato, giurista, direttore del trimestrale di cultura politica“Behemoth" (http://www.behemoth.it/ ). Tra i suoi libri: Lo specchio infranto (1998), Il salto di Rodi (1999), Il Doppio Stato (2001), L'apologia della cattiveria (2003), L'inferno dell'intellettuale (2007), Dove va lo Stato? (2009).

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