martedì 30 novembre 2010


Riflessioni
Liberalismo e società di massa




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Ieri sera rileggevamo un passo del bel libro di John Lukacs Democrazia e populismo (Longanesi), dove si pone un problema fondamentale:
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“In questo libro ho sostenuto che le vecchie categorie del ‘conservatorismo’ e del ‘liberalismo’ sono divenute quasi del tutto obsolete. Ma una tendenza è chiara. Quasi ovunque, la ‘sinistra’ ha perso forza d’attrazione. E’ possibile che in futuro la vera divisione sarà non tra destra e sinistra, ma tra due specie di destra: tra coloro la cui bussola è il disprezzo (…), che odiano i liberali più di quanto amino la libertà e coloro che amano la libertà più di quanto temano i liberali; tra nazionalisti e patrioti; (…); tra quanti si affidano alla tecnologia e alle macchine e quanti si affidano alle tradizioni e alle vecchie regole delle decenza umana; tra coloro che sono favorevoli allo sviluppo e coloro che desiderano proteggere e conservare la terra: tirando le somme, tra chi non mette in questione il Progresso e chi invece lo fa”(p. 199).
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L’analisi di Lukacs ha vigore argomentativo. Il progresso non può essere assolutizzato a beneficio di masse narcotizzate da consumi crescenti ed eccessivi, e disposte a subire e il fascino indotto dell’invidia e della forza bruta. Perché, prima o poi, si rischia di fare i conti, con una crescente anomia ambientale, sociale e morale. Resta però un dubbio: se le istituzioni liberali, elitarie per eccellenza (perché nate da e per pochi notabili), siano effettivamente in grado di governare la democrazia di massa. Anche perché il Novecento ha mostrato, e dolorosamente, che spesso lo stesso liberalismo (antidemocratico, o a-democratico), in alcuni occasioni, è venuto a patti se non con il totalitarismo, almeno con l’autoritarismo, senza per questo riuscire a fermare la massificazione della società.
Sotto questo aspetto, e malgrado tutto l’acume storico di Lukacs, il “problema Tocqueville”, quello di coniugare liberalismo e democrazia, resta ancora oggi privo soluzione. E qui probabilmente può venirci in aiuto Benedetto Croce, per il quale "la libertà non ha potuto mai fondare un edificio politico durevole, ma la corona quando il tempo lo ha consolidato" (Storia d'Europa nel secolo decimonono).
Ecco, occorre tempo. In questo senso, può tornare utile il suggerimento della Arendt sul tempo come fattore creativo in politica (Vita Activa). Tuttavia, se come sostiene Adorno, "quando il tempo è denaro", come appunto accade nella società attuale, "sembra morale risparmiare il tempo, specialmente il proprio" (Minima moralia), chi vorrà o potrà dedicarsi, altruisticamente, al crociano consolidamento - nel tempo - dell' "edificio politico"? 


Carlo Gambescia

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