martedì 9 novembre 2010

In margine a una lettera di Gioacchino Volpe
Questioni di fede

Gioacchino Volpe (1876-1971)





Partiamo da un passo di Gioacchino Volpe, storico vero. Il quale visse parte delle tragiche vicende del 1943-1945 nella sua casa di Sant’Arcangelo di Romagna. E come altri milioni di italiani: puro e semplice testimone-ostaggio di una crudele guerra civile, ormai distaccato dal fascismo, al quale in passato aveva aderito.
Scrive Volpe alla moglie Elisa Serpieri:

“Oggi è la Madonna di mezz’agosto e andrò a messa con Edoarda. Ogni tanto mi ricordo delle tue raccomandazioni. Cercherò di pregare, di raccogliermi. Ma come mi è difficile fondere il di qua, che io da tanto tempo mi sono abituato a cercare di capire in sé, nelle sue forze proprie che lo muovono, e il di là! Son come due mondi separati! Ma io chiederò di avere forza e coraggio: cioè rafforzerò in me il proposito di avere forza e coraggio. Chiederò di essere pari alle necessità e pari a me stesso, qualunque cosa accada, perché i miei figliuoli non abbiano nulla da rimproverarmi e tu possa rimanere con un alto ricordo di me. Quando vado in chiesa, mi viene fatto naturalmente di riandare alla mia vita, risuscitare i miei ricordi, fermarmi alle pietre miliari (…). Così la mia vita si ricompone tutta e quasi si offre alla divinità, riconoscendo da essa i dolori e le gioie” (Gioacchino Volpe, Lettere dall’Italia perduta 1944-1945, Sellerio editore, Palermo 2006, pp. 44-45).

Volpe ricordando il conflitto interiore, tuttora presente in ogni studioso (in particolare se credente), tra le leggi del di qua e del di là, pone una questione fondamentale. Come “fondere” senso religioso e senso storico? Volpe era davanti al Finis Italiae… Ma come ricondurre una guerra fratricida alla volontà di Dio? Forse, a posteriori, una volta cessati i bombardamenti aerei? Ma intanto Volpe era sotto le bombe. E da storico allergico a qualsiasi interpretazione metastorica non poteva non ribadire la necessità di studiare le cose umane per se stesse. Riducendo però - ecco la controindicazione - religione e fede a puro fatto soggettivo, anzi biografico.
Si può criticare l’ approccio, ma il problema rimane. E che problema. Da un lato, l’urgenza della Salvezza nel di là, dall’altro, l’impellente volontà di capire le cose del mondo nel di qua. Certo, si può sempre ridurre il di qua a un per molti comodo “Dio lo vuole”… Ma si può giustificare tutto in nome di Dio? Ovviamente, nessuno vieta di spiegare il di qua con il di qua (si pensi ai nostri modesti sforzi di costruire una metapolitica concreta...). In quest 'ultimo caso resta però aperta la grande questione del senso finale della metapolitica, della storia, della sociologia, eccetera.
Certo, si può rinunciare a ricercarlo. Perché si può sempre procedere all’insegna del “come se”… E dunque scegliere il convenzionalismo... Ovviamente, anche Dio può essere definito alla stregua di una convenzione. Ma allora anche la "dea" libertà sarebbe una convenzione ( si pensi alla filosofia della storia crociana)... E cosa dire di altre "divinità" come il comunismo, il socialismo, eccetera?

Ecco però il punto fondamentale: il profondo dramma interiore di Volpe (e di altri studiosi) può essere spiegato, e dissolto, solo e sempre in termini di scelte soggettive tra convenzioni alternative? Esiste un’oggettività profonda, capace di andare oltre la stessa oggettività della scienza?
Probabilmente la risposta definitiva può essere ricercata nell' intensità della fede individuale di ciascuno di noi. Intensità, che però implica, se pervasiva, il rischio di dissolvere il di qua nel di là.
Il che può essere lodevole nel santo. Ma nello storico e nel sociologo? 


Carlo Gambescia

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