mercoledì 17 novembre 2010

 Ancora su Franco Cardini
Utile per la società 
e utile della società


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Un lettore ieri chiedeva che cosa ci fosse di sbagliato nelle affermazioni di Franco Cardini da noi riportate nel post a lui dedicato qualche giorno fa (http://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.it/2010/11/cardini-il-chomsky-dei-poveri-conuna.html):
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"Quanto alle lobbies multinazionali, ai poteri finanziari e bancari che sostengono i politici che hanno piazzato come loro “comitato d’affari”, agli spacciatori mercenari di strapagate menzogne massmediali, ai massacratori d’innocenti in Iraq e in Afghanistan e ai mercanti d’armi e di petrolio che li sostengono, alle aziende farmaceutiche che condannano milioni di persone a morte per AIDS pur di mantener alti i costi dei loro brevetti, a chiunque lucri su un sistema mondiale così infame da permettere ad alcune decine di migliaia di persone al mondo di nuotare ogni mattina in una piscina olimpionica mentre si cerca di far pagare l’acqua a interi popoli assetati"
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Cogliamo l’occasione, non tanto per rispondere direttamente al lettore sulle singole affermazioni dello storico, dal momento che alla "propaganda" si rischia sempre di rispondere solo con altra "propaganda". E questo tipo di confronto non ci interessa, come i lettori abituali ben sanno. Vorremmo invece - ripetiamo - cogliere l'occasione per elevare il tono del dibattito, tentando di chiarire alcune questioni "a monte", ossia di “metodo”.
Ora, esiste una distinzione classica, di derivazione paretiana, tra utile della società e utile per la società, che così sintetizziamo:

L’utile della società è costituito da ciò che è utile, in senso oggettivo (della società), alla sua riproduzione.
L’utile per la società è determinato da ciò che gli uomini designano, in chiave soggettiva ( ma come entità collettive non individuali), come culturalmente "utile" per la sua riproduzione.
Utile della società e utile per la società coincidono? Possono coincidere in una società di cacciatori e raccoglitori, dove le pretese culturali sono minime o pari a zero, ma non coincideranno mai in una società complessa, come quella moderna, dove le pretese culturali sono massime e dove, di regola, sono in conflitto le più diverse teorie su quello che deve essere l’utile per la società (dal liberalismo al socialismo, al fascismo, al "decrescismo", eccetera).

L’ideale sarebbe quello di stabilire, una volta per tutte, l’utile della società, ma come abbiamo visto, quanto più si complica culturalmente la società, tanto più diviene difficile, se non impossibile, stabilirlo. Anche perché, in un quadro culturale sempre più ricco e complesso, le diverse idee di utile per la società, confondendosi con l' utile della società, finiscono regolarmente per entrare in conflitto. In questo senso l’equilibrio tra le diverse idee di utilità per la società sarà sempre di tipo storico, generazionale, contingente e imperfetto, con vinti e vincitori: la perfezione, insomma, non è di questo mondo. Non esistono ricette politiche definitive e assolute.
Solo un sano relativismo riformista può garantire periodi di equilibrio storico, comunque sempre a rischio di rapida dissoluzione (rapida in termini di secolare “tempistica” storica…). Ovviamente, anche questo è un giudizio di valore. E, a voler essere coerenti, racchiude anch'esso un'idea di utile (riformista) per la società. Lo ammettiamo, senza alcuna remora, proprio perché siamo "imperfettisti".
Qual è la morale del nostro discorso? Che uno storico come Cardini dovrebbe conoscere a memoria questi problemi. E perciò evitare il linguaggio perfettista (come nel passo citato) di chi, illudendosi e illudendo gli altri, crede che la propria idea di utile per la società sia l’unica valida. Magari presentandola come utile della società . Il che potrebbe anche andar bene. Ma in una società di cacciatori e raccoglitori.

Carlo Gambescia

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