venerdì 17 settembre 2010

Italia "invertebrata"


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Italia invertebrata? L’espressione non è nostra ma di José Ortega y Gasset. Che in un libro, scritto nel 1920 (España invertebrada), addossò la responsabilità della decadenza spagnola ai conservatori poco illuminati, senza per questo risparmiare la sinistra invece accecata dai lumi del progresso. Si dirà ma che c’entra una Spagna che sarebbe entrata di lì a qualche nel vortice di fuoco della “guerra civile”, del franchismo, con la crisi italiana? Dove si discute fiaccamente di bipartitismo alla camomilla e si ridacchia di scandali e scaldaletti politici?
C’entra. E in un senso preciso: mancanza di “spina dorsale” Detto altrimenti, e in sociologhese: di solidarietà nazionale (verticale) e sociale (orizzontale). Qui sono tutti contro tutti. Proprio come nella Spagna di Ortega, frammentata in mille separatismi regionali, politici e sociali. Certo, quelle erano “fratture” novecentesche fortemente ideologizzate, oggi ci muoviamo in un contesto diverso E se non deideologizzato, di sicuro più soft: meno Marx, più Apicella e Ivano Fossati.

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Bipolarismo alla frutta
Scherziamo, ma fino a un certo punto.
Sotto questo aspetto che cosa accadrebbe nell’ “Italia invertebrata,” se il Centrosinistra e il Centrodestra si sciogliessero come neve al sole?
Di sicuro, il “Neo-Centrismo” di Casini e Rutelli perderebbe la sua funzione di “grande moderatore” tra i due poli. Per tornare a tenere insieme l’Italia dal Centro, grazie a una nuova DC”, serve un “nemico esterno” come negli anni della Guerra Fredda. Che oggi potrebbe essere l’Islam fondamentalista… Ma, per dirla con lo Stalin che irrideva l’inesistente forza militare di Pio XII, su quante divisioni contano gli scalcinati Talebani?
Più interessante è il discorso su che cosa ne sarebbe dell’attuale schieramento politico.
A sinistra, in caso di disgregazione dei Democratici dove finirebbero i voti? Probabilmente, in parte a un PD, tornato ad essere la vecchia “Quercia” in parte a Di Pietro e Grillo, ma anche a Vendola e ai post-comunisti. Avremmo però quattro alberelli, litigiosissimi fra di loro… A destra, la situazione potrebbe essere ancora più devastata e devastante. Perché di alberelli potrebbero nascerne il doppio, se non il triplo: i “berlusconiani d.o.c”, i “cicchitttiani”, i quagliariellani”, “i larussiani”, i gasparriani”, e altri cespugli. Ovviamente i finiani. E ancora a più destra, Storace, Forza Nuova, e chi più ne ha ne metta… Infine la Lega, tosto baobab padano.
Insomma, saremmo davanti a un quadro generale frastagliato, se non del tutto aggrovigliato.
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Elettori allo sbando
Come reagirebbe l’elettorato? Molto, dipende dalla legge elettorale scelta e dalla possibilità di accorpamento (legata a una soglia minima: il 5%?). Di sicuro gli italiani stufi da sempre - quelli che non votano da anni - non tornerebbero a infilare la scheda dell’urna. Inoltre ai non votanti “stabilizzati” andrebbero ad aggiungersi i “disgustati” dell’ultima ora: quelli messi a tappeto dalla fine del bipolarismo.
Morale della favola: lo torta-elettori potrebbe scendere sotto il cinquanta per cento. E ad avere la meglio elettoralmente sarebbero le forze politicamente più caratterizzate, magari su un tema particolare: ad esempio, il federalismo (Lega); giustizia (Di Pietro e Grillo), anticomunismo - sì proprio così (Berlusconiani d.o.c), identità nazionale (“La Destra” di Storace), Diritti civili (Vendola). Vediamo invece piuttosto male la sorte dei finiani, una volta privati della ragione (lo strapotere di Berlusconi) di un cavilloso, spesso comico, contendere, nonché di altri gruppetti a sfondo personalistico, provenienti dal PdL, ma privi di leader carismatici o adeguati… Oddìo rinunciare a Cicchitto e Bocchino che si “beccano” quotidianamente come i capponi di Renzo, non sarebbe poi una grande perdita…
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Il tecnocrate sul tetto
Dove potrebbe condurre tutto ciò? Gli animali invertebrati (insetti e vermi) non vivono a lungo. Probabilmente un’ Italia prigioniera dei ricatti di una folla di micropartiti, affamati di potere, cadrebbe nelle mani dei poteri veri: quelli che contano, economici, nazionali e internazionali.
Potremmo allora assistere alla nascita di governi tecnici - altro che “governicchi”- solidamente manovrati dall’esterno. In seno ai quali la micropolitica dei “partiti Sette Nani” finirebbe per contare meno di zero.
Va detto - altra utile indicazione di Ortega - che quando la politica, si fa “echinodermica” la parola passa ai pochi vertebrati rimasti. Nella Spagna dell’epoca il potere passò ai militari e ai partiti ormai “militarizzati. La crisi spagnola, anche per altre ragioni, sfociò nella guerra calda: quella civile, Oggi invece in Italia, il potere passerebbe subito ai tecnocrati, o comunque ai tecnici “puri”, quelli che svolazzano come pipistrelli sulla Banca d'Italia. Di qui non “guerre calde” o “fredde” ma una bella immersione collettiva nella dolciastra melassa delle cifre, della tabelle e dei conti che tornano, sempre e solo, per quelli che Ernesto Rossi chiamava “i padroni del vapore”: i grandi monopolisti economici privati, tra l’altro favorevoli, a delocalizzare o importare mano d’opera dall’esterno. Sai che allegria per il lavoro italiano…
Con un’eccezione: la Lega. Che, grazie alla sicura conservazione della fortissima base locale, potrebbe puntare, in via definitiva sulla secessione. E così provocare una controreazione politica unitaria... E vai con la guerra civile o quasi...

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Fantapolitica?
Concludendo: fantapolitica? Mica tanto. Ortega chiudeva il suo profetico libro, parlando della necessità di lavorare di scalpello, per “mettersi a forgiare un nuovo tipo di uomo Spagnolo”: Purtroppo sarebbero serviti sessant’anni e una disastrosa “guerra civile”… Qui, in Italia, tutti parlano parlano, ma poi se ne fregano, se ci si passa l’espressione poco sociologica. E in più esiste una differenza con la Spagna di allora: la storia prova che dalla guerra civile si esce, dalla dittatura pure, ma sulla possibilità di sortire o meno dal vischioso potere dei tecnocrati, la storia tace.
Perché allora infilarsi in questo tunnel? Forse siamo ancora in tempo...

Carlo Gambescia

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