giovedì 24 giugno 2010

Le riviste della settimana: “Krisis”, La Guerre? n. 33, avril 2010, pp. 258. euro 23,00 - "Krisis“, La Guerre? /2, n. 34, juin 2010, pp. 294, euro 25,00; "Empresas Políticas", fascicolo su Gaston Bouthoul, n. 13, 2° semestre 2009, pp. 184 euro 16,00. 

http://www.alaindebenoist.com/pages/krisis.php                                                 http://www.sepremu.es/index.php                                                                          

.

Non c’è che dire, “Krisis”, rivista diretta da Alain de Benoist, vizia i suoi lettori: ogni nuovo fascicolo supera per qualità il precedente. Non vanno perciò perduti gli ultimi due numeri dedicati alla guerra.
Nel primo (La Guerre?, “Krisis” n. 33, avril 2010, pp. 258. euro 23,00 ), si affronta il fenomeno in chiave teorica. Vanno ricordati, tra gli altri, i contributi di Jean Haudry (La guerre dans le monde indo-européen préistorique), Alain de Benoist (Le héros et les “péches du guerrier” e Violence sacrée guerre et monothéisme), Gabrielle Slomp (Cinq arguments de Carl Schmitt contre l’idée de “guerre juste”), Costanzo Preve (La lutte des classes: une guerre des classes?). Seguono alcuni testi classici in argomento di Julien Freund, Ludwig Gumplowicz, Gaston Bouthoul e Carl von Clausewitz.
Nel secondo fascicolo (“La Guerre? /2, “Krisis, n. 34, juin 2010, pp. 294, euro 25), oltre a fornire ulteriori approfondimenti teorici, come ad esempio nell’ ottimo contributo in apertura di Hervé Coutau-Bégarie (A quoi sert la guerre?), l’analisi entra nel vivo delle questioni internazionali. E qui, tra gli altri, vanno segnalati i saggi di Alain de Benoist (Le retour de la France dans l’OTAN), Georges-Henri Bricet des Vallons (Privatisation et mercenarisation de la guerre. La révolution de la “génétique” des forces armées américaines), Jean-Claude Paye (Un épisode de la “guerre contre le terrorisme”: les échanges financiers sous surveillance impériale).
In definitiva lo scopo che si propongono i due fascicoli è di studiare scientificamente la guerra al fine di mitigarne gli effetti distruttivi. Si parte perciò da un preciso presupposto, sicuramente non pacifista, ma neppure “guerrafondaio” : che la guerra sia una forma specifica di controversia socio-politica e che “pace” significhi solo assenza di guerra. Di qui l’importanza dell’antico detto, ben compreso da Romani, si vis pacem, para bellum ("se vuoi la pace, prepara la guerra"): perché pace e guerra sono eventi collegati e ricorrenti, stante la natura “pericolosa” dell’uomo. Il che implica la necessità di “pensare la guerra”, ossia di considerarla un’eventualità sempre incombente e alla quale prepararsi.
Abbiamo già accennato a Gaston Bouthoul (1896-1980), insigne sociologo e fondatore nel 1945 dell’ “Institut Français de Polémologie” (dal greco pólemos, guerra, ). Ora, l’importante rivista spagnola di politologia “Empresas Políticas”, diretta da Jerónimo Molína, professore di Politica Sociale presso l’Università della Murcia, ha dedicato oltre metà del suo ultimo fascicolo al grande polemologo francese, oggi quasi dimenticato ( n. 13, 2° semestre 2009, pp. 184 euro 16,00 ). Fra i contributi, tutti notevoli, ricordiamo quelli di Piet Tommissen (En torno alla polemología), Myriam Klinger (La revista “Études Polémologiques” 1971-1990), Vincent Porteret (El “Tratado de polemología” de Gaston Bouthoul y el análisis sociológico de las guerras), Julien Freund (La obra de Gaston Bouthoul), Utilissima, infine, l’impeccabile bio-bibliografia curata da Jerónimo Molína.
A Gaston Bouthoul si deve infatti una sociologia della guerra, capace di analizzare l’evento bellico come “fatto sociale totale”. Ossia quale evento psicologico, biologico e culturale, secondo la lezione di Tarde, Worms e Mauss. In questo senso, per Bouthoul la guerra è espressione della società (come plurale insieme di forze) e non della politica (quale esito della “decisione” di “fare” la guerra), come invece ritiene la “sacra” triade Clausewitz-Freund-Schmitt.
Siamo perciò davanti a un bellissimo confronto tra Bouthoul e tre “luminari” della guerra. Quel che però li unisce è la capacità di “pensare” la guerra senza demonizzarla. Del resto la guerra, per parafrasare un famoso detto, è una cosa troppo seria per lasciarla nelle mani dei pacifisti…

Carlo Gambescia

Nessun commento:

Posta un commento