mercoledì 5 maggio 2010

Riscoperte,  Georges Sorel
Riforme o rivoluzione?



Questa mattina, a proposito della difficile situazione greca, abbiamo letto un titolo più che caldo, di fuoco: “Popoli d’Europa sollevatevi”. Forse si gioca con la rivoluzione... Si discute di cose che non si conoscono. Di qui - crediamo - l’importanza di rileggere un autore, interrogatosi a lungo sulla questione: Georges Sorel (1847-1922).
Chi era Sorel? Probabilmente uno dei pensatori più controversi dell'intera storia del socialismo, in particolare per le sue pericolose amicizie pericolose a destra tra monarchici maurrasiani e altri gruppi politici criptofascisti. Fu anche un avversario ostinato di qualsiasi forma di riformismo e un teorizzatore dell'azione diretta in campo sindacale e politico, nonché simpatizzante al tempo stesso di Lenin e Mussolini.

Al di là degli aspetti politicamente discutibili, gli va riconosciuta profondità di analisi. Soprattutto per aver intuito, già all'inizio del Novecento, due fenomeni particolarmente interessanti riguardanti lo sviluppo dei partiti e sindacati operai.
Infatti, dobbiamo a Sorel l'individuazione nel riformismo socialista di due costanti sociologiche. Quali?
La prima è che il riformismo, se per un verso si traduce in miglioramenti sociali, per l'altro produce una trasformazione, in senso secolare ( o se si preferisce materialistico), non solo dei quadri dirigenti, ma dello stesso movimento socialista ed operaio. Il problema, non è solo "l'imborghesimento", ma la rinuncia a qualsiasi obiettivo, che non sia rivolto al miglioramento materiale. Si finisce per ragionare, tutti, solo nei termini della maggior quota di benessere perseguibile in un dato momento storico.
La seconda è che il riformismo, perpetua se stesso: come ogni fenomeno sociale - e qui le sue osservazioni sono particolarmente profonde - da mezzo finisce per trasformarsi in fine: se il riformismo (il mezzo) deve costruire il socialismo (il fine), nel tempo si finisce per perdere di vista quest'ultimo obiettivo, e il riformismo da mezzo diviene fine.
Pertanto, secondo Sorel, attraverso questo processo, i partiti e i sindacati socialisti, rischiavano già ai suoi tempi di trasformarsi da strumenti rivoluzionari in strumenti di conservazione dell'ordine esistente. Come poi è regolarmente avvenuto.
Come rimedio, Sorel teorizzò - e questo molto prima di Gramsci e Trotzskij (ci si riferisce a categorie sociologiche e non politiche o di scolastica marxista) - una sorta di rivoluzione permanente, da attuare attraverso lo sciopero generale e il successivo controllo sindacale "permanente" dell'economia socialista (ma su quest'ultimo punto la teoria soreliana è piuttosto nebulosa, come sul tipo di società che verrà dopo la rivoluzione).

Un rimedio difficilissimo da attuare - e qui vengono fuori i limiti del pensiero (sociologico) soreliano -, perché il momento dello stato nascente (dello sciopero rivoluzionario) non può sociologicamente durare per sempre. Al Movimento deve seguire l'Istituzione: le società (socialiste, liberali, eccetera), come lava incandescente, finiscono regolarmente per solidificarsi in istituzioni che gestiscono, come dire, l'esistente, anche se introdotto attraverso un processo rivouzionario: semplificando si "imborghesiscono"... Quel che è impossibile insomma, non è la rivoluzione, ma la "rivoluzione permanente". Non esiste un "riformismo rivoluzionario". Esistono soltanto - e chiediamo scusa per il quasi gioco di parole - un "riformismo riformatore" e un "rivoluzionarismo rivoluzionario". Tertium non datur. Non è concessa una terza possibilità. Almeno sociologicamente.
Concludendo, “popoli d'Europa sollevatevi” pure... Ma poi la rivoluzione finisce... Bisogna ricostruire. E "l'imborghesimento" è sempre in agguato. Perfino nella tanto agognata società "senza usura.

Carlo Gambescia

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