mercoledì 31 marzo 2010

Le radici sociali 
dell'astensionismo


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C’era una volta la democrazia. No, magari c’è ancora. Diciamo però, che non gode buona salute. E che sempre più spesso assistiamo al solito confronto tra destra e sinistra su tasse e spesa sociale. Roba da ragionieri. Anche se nei giorni precedenti e successivi alle elezioni, come capita dal 1994, i media finiscono sempre per concentrarsi sugli scandali politici.
Ormai in Italia le intercettazioni a singhiozzo hanno sostituito i contenuti e i confronti politici. Si pensi solo alla campagna appena finita, condotta “a colpi di procure” .
A questo proposito, probabilmente torna utile una riflessione più generale - in termini di cause profonde - sul fenomeno dell’astensionismo. Perché come hanno mostrato, anche le elezioni regionali, se proprio c’è un fantasma che si aggira per l’Europa, sicuramente è quello di una democrazia che perde sempre più elettori. Perché?
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L'elettore "assente"
L’elettore “assente”, chiamiamolo così, in genere è quello più attento alla nuova puntata di “Amici” o di “Ballando sotto le stelle” che di “Porta a Porta” o “Anno Zero”. E non si sintonizza neppure quando Vespa e Santoro si occupano di onorevoli allupati. Perché, come hanno mostrato alcune ricerche, i talk show politici sono seguiti dai soliti che votano: quelli già convinti (pro o contro). Ciò implica che, nonostante i timori del Cavaliere, i programmi di intrattenimento politico non influiscono sull’ elettore “assente” chi vota, continua a votare, chi non vota, continua a restare a casa.
Ma eleviamo un po' il tono dell’ analisi.
Se la democrazia è la “macchina che fabbrica cittadini”, nel senso che il voto rappresenta l’esercizio di una libera scelta attraverso cui l’elettore può “cambiare le cose” e quindi “farsi” cittadino, allora la democrazia italiana non “fabbrica” più cittadini dal 1948. Anno in cui gli italiani votarono, facendo una precisa scelta di campo in favore del capitalismo. Dopo di che il sistema dei partiti, diviso in due blocchi, sprofondò in una specie di limbo politico (tutto Chiesa e Casa del Popolo), durato fino alla caduta dell’Unione Sovietica.
Negli anni Novanta l’apparizione di Berlusconi, ha agitato le acque e scatenato le procure. Di qui quella democrazia, molto particolare, segnata da intercettazioni a singhiozzo, proclami contro i "giudici comunisti", invocazioni, altrettanto feroci, contro quel “fascista del Cavaliere”, e cosi via. Di riflesso, da almeno un quindicennio, ogni tornata elettorale anche amministrativa, viene enfaticamente vissuta come la sera prima della battaglia del Termopili.
Tuttavia, nonostante tutte le scazzottate mediatiche e giudiziarie, gli spettatori a bordo ring mostrano di annoiarsi. Infatti persiste tuttora il sentimento diffuso che recarsi alle urne non abbia alcun valore. In Italia, secondo alcune indagini votano meno di 3 cittadini su 4 , in Europa 2 su 4, negli Stati Uniti 1 su 4.

Tuttavia i dati negativi delle regionali, se confermati in futuro, attestano che l'Italia si sta purtroppo avvicinando alla media europea. Del resto quando si intervista il cittadino che vota, si scopre che 1 su 2 non crede più nell’importanza del suo voto, perché non ha alcuna fiducia in una classe politica, spesso giudicata corrotta e inefficiente.
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Le "tre cittadinanze"
Ora, se la democrazia non “fabbrica” più cittadini, attraverso l’esercizio del voto, come li “fabbrica”? Nessun problema, il circuito della legittimazione e del consenso ormai pratica altre strade. Innanzitutto, va ricordata la “cittadinanza mediatica”. Gli studi sui contenuti dei programmi e delle notizie veicolate dai media, provano che insieme alle scazzottate viene costantemente ripetuto un solo messaggio: il nostro sistema di vita è il migliore in assoluto. E che di conseguenza i cazzotti sono solo un prezzo, fin troppo lieve, da pagare alla democrazia. E così il “cittadino mediatico o “mediatizzato”, pur non capendo, come il buon Ferrini, “si adegua”.
Va poi ricordata la “cittadinanza economica”. Finora il sistema produttivo, pur con alti e bassi, si è mostrato all’altezza della situazione. Il che, per dirla in sociologhese, ha permesso una redistribuzione abbastanza regolare del prodotto sociale e garantito tutele sindacali, previdenziali e assistenziali. Un processo che ha favorito, accrescendone il consenso sociale, l’integrazione delle classi lavoratrici. Ma che, per contro, ha trasformato ogni dibattito politico in economico. Tradotto: la “politica” ormai ruota intorno alla pura divisione, tra cittadini e potere, della ciccia intorno all’osso. Tuttavia la ciccia - con questi chiari di luna - rischia di assottigliarsi…
Infine, va segnalata la “cittadinanza consumistica”. Assicurare a tutti (o quasi) la possibilità di acquisire beni e servizi, rappresenta la carta vincente: la “riprova” che il sistema funziona. L’iperconsumo viene giudicato dalla gente comune, che subisce l’ipnotico effetto della cittadinanza mediatica, come l’agognato traguardo della cittadinanza economica.Cittadinanza mediatica, economica, consumistica. Cerchio perfetto? No, perché, come accennavamo. la crisi economica in corso rischia di rimettere tutto in discussione, e in particolare la cittadinanza economica e consumistica. Di qui la necessità che la “macchina economica” torni al più presto a macinare profitti veri (non speculativi) da redistribuire, più o meno, a tutti.
Ma per quale ragione? Perché più la crisi si allunga, più la credibilità del sistema rischia di risentirne.
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Può bastare la ricerca del puro benessere?
Per ora, le persone continuano a ragionare come in passato: se si vive in una specie di “Paese dei Balocchi”, che senso può avere la cittadinanza politica? Perché si dovrebbe votare per cambiare? Se, nonostante i casi di corruzione e malgoverno, tutto sembra “marciare” per il meglio, perché l’elettore dovrebbe punire i corrotti ? E del resto non sono gli stessi politici, dagli sguardi rassicuranti e benevoli, a promuovere politiche centriste? Presentando la realtà che ci circonda come il migliore dei mondi possibili?
Il che ripetiamo, non è falso. Ma il benessere “nonostante tutto”, non può bastare. Dal momento che la gente ha bisogno anche di ideali, valori e soprattutto rispetto. Quel rispetto, che spesso un mercato affamato solo di profitti speculativi, rischia di ignorare.
Un’ultima osservazione: le cittadinanze mediatica, economica e consumistica sono inversamente proporzionali alla cittadinanza politica. Se si consolidano le prime tre, si indebolisce la seconda. E per quale motivo? Perché la gente, reputando la politica ininfluente sull'economia, se ne frega e non va a votare. Studi in materia provano come il crescente astensionismo elettorale sia tipico delle democrazie opulente, tutte egoisticamente concentrate sui consumi e non sulla politica, vissuta come altruistica partecipazione attraverso il voto. Il presidente Napolitano, qualche volta vi accenna, ma nessuno se lo fila. Si preferisce invece parlare di utilitaristico voto di scambio. Inoltre anche gli scandali, più o meno manovrati, non aiutano gli italiani a fare spogliatoio.
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Conclusioni

Perciò se l’ astensionismo subisse un'improvvisa flessione - cosa che domenica non è stata - sarebbe un segnale di risveglio della cittadinanza politica? No. Perché dietro il non voto si nasconde sia la paura della crisi, in parte comprensibile, sia l’egoistico timore di perdere la cittadinanza consumistica. Il che significa che le vie dell’egoismo umano, come quelle del Signore, restano infinite. Soprattutto quando si incrociano con quelle di un capitalismo sempre più sordo a qualsiasi movente non economico. 

Carlo Gambescia

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