giovedì 11 febbraio 2010

Il libro della settimana: Alan Ebenstein, Friedrich von Hayek. Una biografia, Rubbettino 2009, pp. 674, euro 40,00. 

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Prima i fatti, poi le interpretazioni. Ha ragione Sergio Noto nella sua densa introduzione alla notevole ricostruzione della vicenda hayekiana scritta da Alan Ebenstein ( Friedrich von Hayek. Una biografia, Rubbettino 2009, pp. 674, euro 40,00 ). Perché si può essere d’accordo o meno con Hayek, ma non va mai dimenticato che si tratta di uno dei massimi pensatori sociali (e dunque non solo “un economista”) del XX secolo. E che dunque va prima letto e poi eventualmente criticato. Non per niente, Alain de Benoist, un intellettuale che più antiliberale non si può, gli dedicò qualche anno fa un interessante volumetto (Hayek, Edizioni Settimo Sigillo 2000). Libro tra l’altro ricordato da Carmelo Ferlito, curatore di una corposa appendice bibliografica a questa bella edizione Rubbettino.Ma qual è il pregio principale della biografia di Ebenstein? Quello di non occuparsi solo dell’economista Hayek (al quale naturalmente sono dedicate molte pagine importanti), ma del pensatore tout court. Pertanto si tratta di un lavoro meritevole di essere letto, soprattutto per l’ approccio globale. Ci limiteremo perciò solo a due piccoli rilievi.La teoria sociale hayekiana scorge nel mercato, come interazione tra gli individui, un fattore sociale ed evolutivo. E dal punto di vista sociologico la sua teoria, oltre ai consueti rinvii alla “mano invisibile” di Adam Smith, rimanda, almeno a nostro avviso, a uno dei classici del pensiero sociale, Herbert Spencer. E su tre punti sociologici affini : comune fiducia indiscussa nel meccanismo della libertà economica individuale; stesso anticostruttivismo radicale (nel senso di una contrarietà assoluta a qualsiasi forma di interventismo statale); medesimo convincimento circa la superiorità della società industriale o di mercato sulla società militare o tribale.La griglia qui proposta delle “affinità” è troppo larga? Può darsi. Dispiace però che Ebenstein non abbia voluto approfondire la questione di una possibile contaminazione intellettuale tra Spencer e Hayek. Anche perché si tratta di un autore letto da Hayek.Certo, i due pensatori appartengono a periodi storici diversi. E di conseguenza il pensiero di Spencer rimane viziato da un forte biologismo sociale mescolato a una visione evoluzionistica della storia di sapore ottocentesco. Il che però non impedisce a Hayek, in Law, Legislation and Liberty (ed. it. Il Saggiatore 1989) di applicare il meccanismo sociologico della selezione evolutiva, sebbene non in chiave di “ferree” leggi spenceriane, alla nascita e allo sviluppo delle istituzioni sociali .Insomma, Hayek e Spencer addirittura come “gemelli” separati alla nascita? Non spetta a noi dirlo. Ma di sicuro si tratta di un’ ipotesi meritevole di essere esplorata. Come del resto ha suggerito, tra le righe, un altro acuto biografo di Hayek, Andrew Gamble (Hayek. The Iron Cage of Liberty , ed. it. il Mulino 2005).Ma si pensi anche - e veniamo al secondo rilievo - alle critiche mosse da Raymond Aron al concetto hayekiano di libertà nella sua recensione a The Constitution of Liberty ( ed. it. Vallecchi 1969), altro testo fondamentale del pensatore austriaco. Secondo Aron, sociologo finissimo, l’evoluzionismo di Hayek racchiude il rischio di sopravvalutare il ruolo delle istituzioni, in particolare quelle economiche. E dunque di privilegiare la libertà esteriore rispetto a quella interiore ( si veda R. Aron, Il concetto di libertà, Ideazione Editrice 1997). E purtroppo questi nodi, per quanto secondari dal punto di vista della teoria economica, non vengono sciolti dalla pur interessante biografia di Ebenstein. Che se ha un altro limite, è quello di presentarci, talvolta, un Hayek dove di solito ci si aspetta di trovarlo: fermo al suo posto di combattimento, con il fucile spianato, in attesa di aprire il fuoco sul nemico statalista. Proprio come spesso capita di leggere in opere peraltro apologetiche, e quindi inferiori per qualità alla comunque notevole biografia di Ebenstein. Peccato.

Carlo Gambescia

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