mercoledì 16 dicembre 2009

Divagazioni sociologiche sull’odio



Secondo Sant’Agostino “l’ira è un'erbaccia, l’odio un albero”. Come dire: l’odio è un’ira "stabilizzata". Un’ira fredda: una disposizione non temporanea ma permanente a danneggiare colui che si odia. Non è un buon sentimento: l’ira si può sradicare come un’erbaccia, grazie alla calma di una ragione ritrovata. L’odio meno, soprattutto quando assume l'aspetto di una quercia secolare.

Per Freud l’odio racchiude una pulsione di morte. E in questo senso si trasforma sempre in fonte di angoscia e sofferenza mentale. Colui che odia, insomma, non vive bene. L'odio si nutre di pregiudizi: dal momento che come insegna la psicologia, chi odia, come il fondamentalista di qualsiasi colore, attribuisce preventivamente all’altro sempre intenzioni negative. Probabilmente anche perché, per dirla con Hermann Hesse “quando odiamo qualcuno, odiamo nella sua immagine qualcosa che sta dentro di noi". Chi odia, e non è un gioco di parole, odiando maledice sempre se stesso.
La sociologia invece non ha mai studiato adeguatamente l’odio. Pochi studiosi si sono occupati dell'argomento. Max Scheler, sulla scia di Nietzsche, ha individuato nel risentimento la causa principale dell’odio sociale: un brutto "sentire di nuovo" o "sentire sempre" che sorgerebbe da quell' irrefrenabile volontà di possesso che pervade l’uomo moderno, affamato di beni materiali. Se l’unico valore apprezzato è quello “economico”, allora inevitabilmente ci si "risente" per quello che “non si possiede”. E di riflesso si finisce per odiare “colui che possiede”.

Non per niente Julien Benda, acuto filosofo sociale, parlò del Novecento, come del secolo fondato "sull' organizzazione intellettuale dell’odio politico”. E, infatti, se ci si pensa bene, il liberismo resta fondato sull’invidia, quale molla che spinge a emulare i consumi altrui, anche a costo di privarsi di una vita interiore. Mentre il marxismo ha trasformato l'invidia in odio di classe, e l'odio di classe in strumento di lotta politica e di ferreo e ingiusto dominio delle coscienze. Infine, fascismo e nazionalsocialismo si sono "limitati" a sostituire all'odio di classe quello di nazione e razza...
Per contro il grande Pitirim Sorokin provò per primo - studiando ad esempio le vite dei santi - che chi ama vive più a lungo. Di qui il suo straordinario disegno teorico volto a studiare le metodologie positive per “produrre e diffondere” tra gli uomini, l’amore al posto dell’odio... E naturalmente liberisti, marxisti, fascisti e nazisti lo presero per pazzo.

Per tutte queste ragioni, mai rivendicheremo alcun "diritto di odiare”: una specie di diritto alla cattiva vita. Eventualmente può esistere il "diritto di amare". Quello sì. Come diritto alla buona vita e non all'autolesionismo. Ma con moderazione, perché se non santificato da una fede sincera e tollerante in Dio o negli uomini, anche l'amore rifiutato, può trasformarsi in odio. Di qui l'importanza, per dirla con la Arendt, che ognuno si comporti "da amico di molti, ma fratello di nessuno” . E nella speranza che nessuno mai ci scelga - perché può capitare - come nemici.
Probabilmente la nostra è la strada più difficile, irta di ostacoli, perché per dirla con Bernanos, “odiarsi è facile, la grazia è dimenticare” .

E quindi pochi ne sono capaci. Ma perché non tentare?

Carlo Gambescia

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