venerdì 24 luglio 2009

Il "Nuovo Welfare" secondo il decreto anticrisi 
C'è del metodo in questa follia...




Partiamo da un "professore" del Corriere della Sera.
Ieri Maurizio Ferrera, politologo ed esperto di questioni di welfare, a proposito di queste due misure recepite dal decreto anticrisi,

L'età di pensiona­mento delle dipendenti pubbliche verrà progressi­vamente elevata da 60 a 65 anni (come quella degli uomini), così come stabili­to dalla Corte di giustizia europea. A partire dal 2015 i requisiti anagrafici per l'accesso alla pensione ver­ranno periodicamente ade­guati all'incremento della speranza di vita: se gli ita­liani (uomini e donne) vi­vranno più a lungo, an­dranno in pensione un po' più tardi”,
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ha manifestato tutto il suo entusiasmo:
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Le due misure non avranno un grande impat­to finanziario ma introdu­cono due promettenti in­novazioni istituzionali. Le risorse risparmiate dovran­no essere usate «per inter­venti dedicati a politiche sociali e familiari, con par­ticolare attenzione alla non autosufficienza». E' forse la prima volta che si istituisce un collegamento diretto e formale tra una «sottrazione» in campo pensionistico e una «addi­zione » nel campo dell'assi­stenza e dei servizi alle per­sone. L'impegno sarà ri­spettato?”.
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Ora, ci chiediamo se istituire “collegamento diretto e formale” tra l’annacquamento del diritto alla pensione (la sottrazione) e, semplificando, il famigerato “ diritto di accompagno”, i trenta denari di Giuda distribuiti alle famiglie (l' addizione), affinché gli anziani non autosufficienti non gravino più "fisicamente" sulle strutture pubbliche (perché il succo della misura è questo), sia compatibile con una politica di welfare rispettosa dei diritti sociali di tutti cittadini, uomini e donne. Perché qui in gioco non è il "genere" del lavoratore, ma il suo "diritto" a vivere con dignità. Soprattutto gli ultimi anni.
Bene, secondo Ferrera e il Governo il collegamento è compatibile; secondo noi, no. Per quale ragione?
Perché lo scambio, virtuoso solo in termini di bilancio, tra previdenza e assistenza (due sacrosanti diritti sociali) penalizza coloro che hanno pensioni basse (la maggioranza dei cittadini, in futuro). I quali, in questo modo, potranno fruire solo di un’assistenza, che graverà su una previdenza, pagata dai lavoratori con l’allungamento dell’età pensionabile.
In buona sostanza si lavorerà fino e oltre i sessantacinque anni, perché, tra l’altro, è previsto un meccanismo - definito da Ferrera “promettente” - grazie al quale la soglia ana­grafica alla pensione verrà automaticamente, modificata sulla base dei dati sull’allungamento del ciclo di vita, rilevati periodicamente dall’Istat. Per poi “godere”, viste le prevedibili precarie condizione di salute - dal momento che nell'epoca "dello stress" una vita più lunga non sempre è sinonimo di buone condizione fisiche - di una badante pagata con i risparmi sulla spesa pensionistica, grazie all’automatico elevamento dell’età pensionabile e all’uso di coefficienti per il calcolo delle pensioni scalarmente sempre più bassi, introdotti da Dini e confermati da Prodi e Tremonti.
Se non è follia questa... Ovviamente, con un suo metodo . Altrimenti Ferrera non sarebbe lì ad applaudire.

Carlo Gambescia

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