giovedì 28 maggio 2009

Il libro della settimana: Francesco Forte, L’economia liberale di Luigi Einaudi. Saggi, Leo S. Olschki, Firenze 2009, pp. XVIII-368, euro 41,00 - http://www.olschki.it/ .




Alzi la mano chi non ha mai studiato economia sul celebre Manuale di Politica Economica di Francesco Forte? La domanda è rivolta in particolare agli studenti di scienze politiche e sociali degli anni Settanta del secolo scorso.
Scommettiamo infatti che non sono pochi gli universitari di quella generazione che hanno avuto il privilegio di studiare sui quattro volumi, scritti dall’ enciclopedico economista, e pubblicati nella vecchia PBE (“Piccola Biblioteca Einaudi”). E perciò di scoprire, grazie alla cultura sterminata di Forte, oggi professore emerito dell'Università La Sapienza di Roma, che l’ economia era (ed è) qualcosa di più complesso delle pure e semplici leggi dell’offerta e della domanda.
Pertanto non potevamo non segnalare, all’interno di una bibliografia fattasi di anno in anno sempre più ricca, l’ultima fatica di Francesco Forte: L’economia liberale di Luigi Einaudi. Saggi, (Leo S. Olschki, Firenze 2009, pp. XVIII-368, euro 41,00). Dove sono raccolti e rielaborati gli studi da lui dedicati a Luigi Einaudi. Il quale nel 1961, particolare non secondario, volle Forte come suo successore alla cattedra torinese di Scienza delle Finanze.
Siamo al cospetto di un grosso volume, diviso in quattro parti. E scritto con scienza e coscienza, per dirla in modo solenne : con la dottrina dello scienziato e con la consapevolezza di aver avuto come maestro uno studioso della statura di Luigi Einaudi: un grande liberale di una specie oggi molto rara, come quando dichiarava in una lettera a Ernesto Rossi (citiamo da Forte) :
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Io non sono liberista; come lei, con tanti altri, scrive nel memorandum. La differenza non è tra liberista e interventista; ma fra interventismo e interventismo. Mi guardo bene dal dire, in seguito a qualunque specie di calcolo, ai giovani o dal far loro dire, a mezzo di commissioni di esami o fissazioni di numeri: tu farai l’avvocato o l’ingegnere o il contadino. Ciò mi ripugna. Ma non mi ripugna affatto far pagare ai contribuenti 500.000 borse di studio (per cominciare) a giovani che diano buone promesse. Scelgano essi, cadano si risollevino” (p. 211).
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Come dicevamo, il libro è diviso in quattro parti: la prima biografica (“Einaudi economista appassionato e maestro”); la seconda è dedicata al suo modello di “economia pubblica”; la terza, su cui ritorneremo tra poco, si occupa dei rapporti tra “neoliberalesimo e mercato”; la quarta invece affronta l' “ordine monetario e mercati globali”.
Perché la seconda parte ha colpito la nostra attenzione? Per una semplice ragione: è utile per capire come il liberalismo einaudiano, pur ( o proprio) restando fedele a una concezione etica della libertà rimanga frutto di una visione qualitativa, prepartitica, rivolta a tutelare tutti, maggioranze e minoranze. Una posizione, secondo Forte, simile a quella di Croce. E quindi completamente diversa, ad esempio, dalla riduttiva visione keynesiana del liberalismo, a rischio di statalismo, perché puramente economica e quantitativa. Del resto criticata dallo stesso Einaudi.
In questo senso, come giustamente osserva Forte, la sua posizione ricorda quella di Wilhelm Röpke, scomparso nel 1966 e con il quale Einaudi fu in contatto. Parliamo di un economista liberale, spesso in disaccordo anche con Hayek e Mises, che teorizzò una terza via liberale, tra collettivismo (persino di tipo social-liberale) e manchesterismo. Röpke fu nel secondo dopoguerra tedesco, uno degli esponenti di punta della cosiddetta “economia sociale di mercato”. Di qui le frizioni con la Scuola Austriaca, notoriamente poco amante persino di una terminologia trascendente l’individuo.
Sotto questo profilo sarebbe molto interessante rileggere le Lezioni di politica sociale, scritte da Einaudi tra il 1943 e il 1944. Dove l’ introduzione di efficaci legislazioni antimonopolistiche, sociali e doganali, nel caso di industrie nascenti ( misura quest’ultima di sapore listiano, liberal-nazionale...), viene ricondotta nell’alveo, per usare la terminologia di Röpke, degli interventi “conformi” all’economia di mercato. Fermo restando, secondo Einaudi, il sempre incombente pericolo di sprechi e corruzione. Rischio, comunque, da correre, ma consapevolmente,
Pagine importanti, come sottolinea Forte, in polemica con certe interpretazioni liberal del pensiero einaudiano, proprio per la consapevolezza del rischio di cui sopra, di regola sottovalutato dalla scuola democratico-progressista, così legata a considerazioni puramente quantitative o semplicemente economiche del benessere ( spesso utilitaristiche, come il famigerato teorema del massimo di felicità conseguibile per maggior numero di persone, a prescindere dalla sua dannosità o meno per le minoranze).
Pagine, continua Forte, segnate dalla distinzione
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“fra gli interventi sociali coerenti con i principi dell’economia di mercato e i valori della libertà e dell’individualità, e quelli del modello di stato del benessere dalla culla alla bara, beveridgiani, che Röpke ed Einaudi avversavano perché incompatibile con quei principi e valori”.
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Modello welfarista, come si dice oggi, davanti al quale però era sbagliato chiudere gli occhi. Scriveva, infatti,
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“Einaudi a Röpke nel gennaio 1944, da Basilea, preannunciandogli il suo corso universitario a Ginevra, per gli studenti italiani, profughi in Svizzera, ‘il dilemma è: prenderlo di fronte oppure cercare di attenuarne le parti più pericolose?’ ” (pp. 235-236).
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Einaudi e Röpke scelsero di mitigarlo, puntando sull’economia sociale di mercato. Di qui l'importanza del libro di Forte che, attraverso Einaudi, indica, proprio in tempi difficili come i nostri, percorsi alternativi al collettivismo come al manchesterismo. Dunque un bel libro, lontano da ogni estremismo, sul quale riflettere.

Carlo Gambescia 

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