martedì 7 aprile 2009

Riflessioni
Vilfredo Pareto e il terremoto abruzzese



Che tipo di relazione vi può essere tra Vilfredo Pareto e il terremoto che ha sconvolto L’Aquila? Lo spieghiamo subito.
Nel suo celebre Trattato di sociologia generale (1916), Vilfredo Pareto, teorizza fra i “residui”, ovvero tra i bisogni che costantemente si manifestano nell’uomo, quello di sviluppi logici. Bisogno profondo che può essere soddisfatto con una logica rigorosa quanto con una pseudo-logica.
In buona sostanza - insegna Pareto - gli uomini vogliono ragionare, e non importa loro se bene o male. E tale residuo rappresenta il punto di partenza della scienza sperimentale ma anche delle “divagazioni metafisiche”. E soprattutto di quelle razionalizzazioni, o “derivazioni”, per dirla ancora con Pareto, dietro le quali gli uomini nascondono le cause soggettive delle loro azioni. Di qui un'unanimità impossibile da raggiungere.
Veniamo ora all' esempio, purtroppo preso dalla realtà: il terremoto che l’altra notte ha sconvolto L’Aquila.
Ebbene, come del resto già sta avvenendo, ci sarà sempre chi, in virtù dell’istinto delle combinazioni, cercherà di ragionare sul fatto che il terremoto si poteva prevedere, mettendo in discussione la tesi della non prevedibilità. Come ci sarà sempre chi, sulla base dello stesso istinto delle combinazioni, sosterrà che il terremoto non si poteva prevedere, eccetera, eccetera.
Ora, entrambi gli schieramenti, anche perché entrambe le tesi non possono essere provate scientificamente in modo incontrovertibile, come il borghese gentiluomo di Molière parlano in prosa senza saperlo... Ovvero fanno ricorso alla logica delle combinazioni, spesso arrampicandosi sugli specchi.
Il che prova, ancora una volta, che l’uomo rifiuta recisamente di non ragionare in termini di sviluppi logici e pseudo-logici . E' "più forte di lui": deve comunque trovare una spiegazione, sia a giustificazione, sia contro la giustificazione di un certo evento. Come, appunto già sta avvenendo nel caso del terremoto abruzzese. Dove si cerca di giustificare scientificamente, ragionando (si fa per dire) intorno concetto di prevedibilità o meno dei terremoti, sia la passività che l’attivismo dell’uomo davanti alla forza, spesso straripante e distruttiva, della natura.
Ma il discorso può farsi ancora più interessante, quando dall’analisi circa la necessità degli sviluppi logici e pseudo-logici si passi a quella della necessità delle derivazioni, cioè delle razionalizzazioni umane.
Riassumendo: il primo livello è il bisogno di sviluppi logici e pseudo-logici, il secondo è quello “derivativo”: dell’attribuzione "razionalizzante" di un valore ideologico, alla spiegazione raggiunta e condivisa, come appunto insegna Pareto.
Il valore ideologico però dipende da un aspetto sociologicamente (e storicamente) volatile: dalla visione del mondo. E quest’ultima dal grado di "inculturabilità" (assimilabilità indotta) individuale di una certa spiegazione. Un capacità di recezione di una certa “causa” collettiva che dipende, a sua volta, dalla disponibilità socioculturale e soggettiva, assai diffusa per disposizione antropologica, a credere a “leggende” e “miti” politici. Ovvero a quel che comunemente si crede collettivamente su come vanno le cose del mondo. E che spesso si tramanda e trasmette per via orale, in termini a dir poco semplicistici. E quasi di coazione a ripetere (pur nel mutamento dei contenuti storici: ad esempio, una volta a livello diffuso si credeva nel soprannaturale, come oggi invece si crede nella scienza…).
Pertanto, tornando all’esempio del terremoto, anche il dibattito sulla prevedibilità, non può non essere percepito dal singolo come fattore di appartenenza (e dunque anche fonte di sicurezza, identità e riconoscimento) a un certa visione del mondo, fondata sul leggende e miti, tramandati e trasmessi oralmente.
Perciò coloro che non credono nella prevedibilità dei terremoti, trincerandosi dietro la scienza ufficiale, liquideranno gli avversari (ovvero coloro che credono il contrario, basandosi su tesi ritenute altrettanto scientifiche), come "comunisti", in termini, appunto di leggende e miti politici. Mentre coloro che credono nella prevedibilità, presenteranno in modo sbrigativo i sostenitori dell’imprevedibilità come "piduisti", sempre in chiave di leggende e miti politici.
Concludendo: il bisogno di sviluppi logici e pseudo-logici, se per un verso unisce (tutti oggi credono bene o male nella scienza, come un tempo si credeva nel soprannaturale), per l’altro divide perché leggende e miti politici esigono la propria parte ( e così il soprannaturale, cacciato dalla finestra rientra dalla porta).

Di riflesso dalla logica della politica, basata sulla decisione, si rischia sempre di passare alla politica della logica, incentrata sul quel dibattito ad infinitum tipico di certa “programmistica” politico-mediatica, ormai assurta a modello di confronto politico. E magari così di rallentare nell'immediato l’opera dei soccorsi. E in futuro - vincolando la questione prevedibilità/imprevedibilità dei terremoti a un consenso scientifico irraggiungibile - di paralizzare qualsiasi tentativo decisionale di concreta riorganizzazione delle risorse e dei mezzi di intervento nell'ambito della Protezione Civile.

Carlo Gambescia 

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