venerdì 9 gennaio 2009

Sociologia di Andreotti


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Il prossimo 14 gennaio Giulio Andreotti compie novant' anni. Come è noto, su di lui è stato scritto tutto e il contrario di tutto. Quindi difficile dire qualcosa di originale. Ma proviamo ugualmente.
Ieri in un’intervista a Repubblica Andreotti ha dichiarato che andrà in Paradiso. Ma “ per la bontà di Dio, non perché me lo meriti” ( http://www.repubblica.it/2009/01/sezioni/politica/andreotti-novantanni/andreotti-novantanni/andreotti-novantanni.html ).
Ecco questa espressione sintetizza l’’essenza dell’andreottismo. E soprattutto di certo moderatismo cattolico, da Gentiloni a Casini, sempre pronto a fare compromessi anche con Dio (e per alcuni anche con il diavolo), pur di restare al potere.
Si dirà, il compromesso è l’essenza del potere, quello reale. Verissimo. E Andreotti ha interpretato al meglio questa tendenza. In particolare negli anni Settanta-Ottanta del Novecento - periodo che meriterebbe un attento scavo storico - intessendo una rete di rapporti con i più diversi centri di potere, politici e finanziari. Pur di mantenere la Democrazia Cristiana al governo. O comunque al centro dei giochi politici. Si pensi solo all’uscita dal Movimento Sociale di Democrazia Nazionale. Oppure all’appoggio di Berlinguer ai “moderatissimi” governi di “unità nazionale”. Che Moro non riuscirà a vedere.

Per non dire di altro.
Probabilmente è stata soprattutto la “centralità” politica di Andreotti, consolidatasi in quegli anni, frutto di una sua particolare capacità di mediare, blandendo e/o minacciando politicamente l’interlocutore, a far nascere quel “Mito-Andreotti”, ancora oggi vivo, soprattutto fra gli elettori moderati, come artefice di una saggia politica dei piccoli passi ( ma per alcuni microscopici). Mito ben coltivato dallo stesso Andreotti, con libri, apparizioni mediatiche e contatto diretto (anche troppo) con gli elettori democristiani, grandi e piccoli, come mostra l’ottimo film di Sorrentino, meglio di tanti libri di storia.
Negli anni Ottanta e Novanta Andreotti ha dovuto affrontare prima la sfida politica di Craxi, poi la crisi di Tangentopoli e infine le imputazioni per mafia e per omicidio (dalle quali verrà assolto in via definitiva, salvo una prescrizione). Ma nonostante tutto è ancora qui: senatore a vita e influentissimo notabile conteso dai media. 
Andreotti non è, come spesso si legge, l’autobiografia vivente dell’italiano, ma di certo tipo italiano. Per parafrasare Malaparte: un italiano pronto a lottare, in guerra come in pace, non per non morire, ma per sopravvivere. E, se possibile, con agiatezza, per giungere a novant’anni. Grazie alla "bontà di Dio", ovviamente. Proprio come Andreotti. 

Carlo Gambescia

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