mercoledì 23 aprile 2008

Umberto Galimberti accusato di plagio




A molti lettori forse sarà sfuggita l’accusa di plagio che ha colpito in questi giorni Umberto Galimberti, notissimo filosofo e psicoanalista. Prima perciò i fatti.
Una studiosa italiana Giulia Sissa, professoressa di "Greek Literature and Religion, Ancient Political Theory, Gender Studies", presso l’Ucla di Los Angeles, scopre e pubblicizza il fatto che alcuni brani di un suo libro, note incluse, tradotto in Italia da Feltrinelli (Il piacere e il male. Sesso, droga e filosofia, 1999), sono contenuti, tali e quali, nell'ultima fatica di Umberto Galimberti: L'ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, pubblicato nel 2007, sempre da Feltrinelli.
A sua volta Galimberti replica che si tratta di “rielaborazioni” e “riassunti”, usati per la recensione del libro della Sissa, uscita su Repubblica nel 1999, dove ne riassumeva le tesi, poi confluita in questo suo nuovo volume. Tuttavia, la “riproduzione” di alcune note riprese, sempre dal libro della studiosa italiana, deporrebbe a sfavore di Galimberti.
Non desideriamo però entrare nel merito della questione. Lasciamo che siano eventualmente avvocati e giudici a dire l’ultima parola su una vicenda spinosa. Quel che invece ci interessa maggiormente è il perché del plagio accademico. Perché si copia da un altro studioso?
Le ragioni vanno rinvenute, soprattutto ai livelli universitari più elevati, nell’eccessivo carico di lavoro individuale: libri, saggi, collaborazioni giornalistiche, insegnamento, convegni, progetti di ricerca, eccetera. Un carico che spesso si coniuga, soprattutto se non si è più giovani, con una certa stasi creativa E non tutti sono in grado di sopportare il peso del possibile declino intellettuale. Di qui, per alcuni, la “necessità” di copiare, pur di "restare in pista".
Alcuni copiano se stessi, nel senso che si ripetono, riprendendo parti di libri già pubblicati, o puntando su raccolte di articoli e saggi. Altri invece copiano da “altri”, contando sul fatto che il pubblico dei veri lettori (quelli di professione), autori compresi, spesso per stanchezza non si rilegge, e dunque dimentica. Ma anche sul fatto che a causa di una eccessiva produzione editoriale, lo “studioso medio”, di regola, non riesce a leggere tutto quel che esce, soprattutto se non riguarda strettamente il suo campo di studio. Altri ancora, copiano da libri stranieri, puntando sulla ridotta conoscenza di alcune lingue da parte dei colleghi (ad esempio il tedesco, idioma riservato a pochi eletti, soprattutto nelle scienze sociali). Sono agli atti casi di studiosi, anche affermati, che hanno copiato di sana pianta libri pubblicati in altre lingue.
Insomma, il plagio accademico discende da un mix di stasi creativa e umana furbizia. Ma anche dalla prorompente vanità di chi non vuole soccombere alle leggi della biologia umana.
Di solito, quando si tratta di una figura importante, la comunità scientifica si chiude a riccio. E difficilmente queste storie arrivano sui giornali. Come ogni comunità chiusa, anche quella accademica cerca di evitare qualsiasi intrusione mediatica nelle proprie vicende interne. In genere il colpevole "patteggia", sotto le ali protettive della comunità di appartenenza.
Ora, per concludere, nel caso Galimberti-Sissa abbiamo due membri di comunità accademiche diverse e indipendenti, italiana e statunitense. Per giunta Giulia Sissa è il classico e brillante cervello "fuggito dall’Italia", che ha trovato giusto riconoscimento all’estero. Di qui, crediamo, un rapporto di amore-odio (ma forse più odio che amore), con la comunità accademica di origine. Perciò potremmo vederne delle belle.

Carlo Gambescia 

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