mercoledì 30 aprile 2008

La crisi della sinistra

Un Bignami




Un tema così ampio non può essere affrontato in un post. Perciò ci accontenteremo di indicare alcune linee generali della questione. Offriremo al lettore una sorta di Bignami.
Da un punto di vista politologico il concetto di crisi indica l’incapacità di una forza politica, di regola un partito, di coordinarsi per conquistare il potere. Naturalmente la coordinazione concerne sia l’elasticità della struttura organizzativa (interna), sia la capacità (esterna) di intercettare il voto degli elettori. In Italia sulla sinistra ha inciso per anni il peso di una tradizione socialista e comunista: il che ha implicato, al suo interno, la necessità di coordinare dal punto di vista ideologico, programmatico ed elettorale, i principi, spesso rigidi, di una ideologia extra-sistemica con le regole della partecipazione sistemica e dunque democratica.
Tutte le principali tensioni interne alla sinistra (nelle diverse sfumature), sono perciò dipese, almeno fino al 1989, dalla necessità di coordinare ideologia e politica democratica. O se si vuole le rose con il pane. Non staremo qui a ripercorrere la storia delle scissioni e delle lotte interne, fondate sui diversi modi di intendere questa difficile relazione.
Con la caduta del Muro è venuta meno la componente ideologica, anche in quelle stesse frazioni ancora apparentemente legate alla tradizione socialista-comunista (si pensi alla scelta pacifista, molto borghese-illuminato, di Bertinotti). Di conseguenza la politica della sinistra, un volta gettatasi dietro le spalle l’ideologia, si è trasformata in puro e semplice pragmatismo. Una scelta che ha implicato sotto il profilo del reclutamento politico, l’apertura a singoli e gruppi appartenenti ad altre tradizioni (si pensi a cattolici e verdi). Il che ha provocato l' ulteriore annacquamento di programmi politici già non particolarmente "pesanti" sotto l'aspetto sociale.
Di qui la veloce accettazione del neoliberismo (nella componente riformista) e di un blando welfarismo (nella componente “rifondazionista”). Ma soprattutto il preventivo rifiuto di affrontare una questione fondamentale come quella della crescente precarizzazione del lavoro
Per quale ragione? Perché il solo parlare di un problema del genere impone la riapertura di una questione sistemica, e dunque ideologica, ormai considerata definitivamente chiusa dalla sinistra: quella della mercificazione. Una questione, e concludiamo, che può essere condensata in una sola domanda: può il capitalismo, in quanto tale, considerare il lavoratore qualcosa di completamente diverso da una pura e semplice merce?
Carlo Gambescia 

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