venerdì 15 febbraio 2008

La donna di Napoli sotto inchiesta




Sul caso della donna di Napoli sotto inchiesta si dovrebbe riflettere a lungo e seriamente. E non chiudersi, a destra e sinistra, in atteggiamenti di difesa a oltranza o di infuocata scomunica della legge 194. Ferma restando, ovviamente, la condanna circa il comportamento, a dir poco ruvido, della polizia, stando almeno a quanto riportato dai media.
Sotto l'aspetto personale siamo sempre stati favorevoli alla regolamentazione per legge dell’interruzione di gravidanza. Ma, per contro, non abbiamo mai considerato la 194, una luminosa vittoria del progresso sull'oscurantismo religioso. E viceversa, una sconfitta, eccetera.
Inoltre abbiamo sempre creduto che una decisione di tale importanza (quella di interrompere o meno la gravidanza), dovesse essere demandata, fin dove possibile, a entrambi genitori e non a uno solo. E questo, non come spesso si dice, per un nostro eccesso di “maschilismo”, ma, eventualmente, per eccesso di comunitarismo (nel caso familiare). Infine continuiamo a ritenere che le politiche sociali, come è avvenuto anche Italia, fondate esclusivamente - attenzione: esclusivamente - sui diritti individuali, spesso contrapposti per gruppi (diritti delle donne, degli uomini, eccetera), finiscano per costituire fonte di pericolosi, e tutto sommato inutili, conflitti politici e sociali, capaci però di rendere progressivamente ingovernabili ed egoiste le nostre società.
Nel caso della donna di Napoli, siamo rimasti "sociologicamente" colpiti da una sua dichiarazione a Repubblica (mercoledì 13 febbraio, p. 3):

 “Ho 39 anni e mi era sembrato indispensabile sottopormi all’amniocentesi. L’ho fatto alla sedicesima settimana nell’ospedale di Frattamaggiore, non lontano da dove abito. Era il 18 gennaio e il referto con la diagnosi me l’hanno consegnato il 31. Sul foglio c’era scritto “Sindrome di Klinefelter”. Poi mi hanno tradotto il significato, una cosa terribile […] , un difetto dei cromosomi che poteva comportare ritardo mentale, problemi di cuore, diabete e l’assenza di alcuni ormoni […]. Non c’era altra scelta. Appena mi hanno comunicato che mio figlio sarebbe stato un malato per tutta la sua vita, non ho avuto dubbi. Ho deciso al momento d’istinto: abortisco. Anche se sapevo che per me rappresentava una scelta particolarmente dolorosa. Mai avrei messo al mondo, da sola visto che non sono sposata, un bimbo in condizioni così gravi per il resto dei suoi giorni. E per favore che nessuno si permetta di parlarmi di egoismo, la mia è stata una scelta che va nella direzione opposta”.

Non ci piacciono le campagne, probabilmente strumentali, di Giuliano Ferrara. E neppure certo "attivismo" clericale. Ma non possiamo non chiederci, amaramente, andando oltre la stessa questione della legge 194, anche perché, da sociologi, riteniamo che le leggi riflettano la società e non il contrario, che razza di società sia questa... Dove una donna, certo in difficoltà, ma che probabilmente riflette una diffusa condizione sociale di incertezza economica e culturale, considera una scelta altruistica, ciò che in precedenza definisce “una scelta particolarmente dolorosa”. Ammettendo così implicitamente che nel suo "utero" , prima dell'interruzione di gravidanza, non viveva un puro e semplice “feto”. Per cui non può non sorgere spontanea un'altra e terribile domanda : altruistica, ma per chi?

Carlo Gambescia

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