lunedì 8 gennaio 2007

Storie di ordinaria propaganda
Il Corriere. Mercantile



Due notizie: una cattiva e una buona.
Quella cattiva è che la forza della “macchina propagandistica liberista”( termine rozzo ma efficace) ha raggiunto livelli allarmanti. Quella buona è che la superficialità e la parzialità intellettuale delle idee “propagandate” sono altrettanto palesi. E il lunghissimo intervento, quasi un sermone liberista, di Padoa-Schioppa, apparso appunto domenica sul Corriere della Sera, è una perfetta fotografia di questa situazione.
In primo luogo, non si può non essere preoccupati, dall’intenso volume di fuoco che un grande quotidiano come il Corriere della Sera, rivolge quotidianamente contro chiunque osi mettere in discussione i presupposti ideologici sui quali si fonda la direzione Mieli: liberismo e occidentalismo (a sfondo filoamericano). Ovviamente, si tratta di una “gestione” che riflette la posizione del mondo politico-economico italiano e straniero, quello che conta. Si pensi solo al grande spazio riservato ai commentatori, totalmente favorevoli alla causa di un Occidente a stelle e strisce (i “pezzi” di Romano e Canfora, e dispiace dirlo, sono le classiche “foglie di fico”). Mentre sono scomparse dalla prima pagina, tanto per fare qualche esempio, le firme del bravissimo Armando Torno (il quale ormai scrive solo di antiquariato librario...) e quella di Geminello Alvi, emigrato al Giornale. Probabilmente, a causa della assoluta difficoltà a far circolare le sue appuntite idee economiche, all’interno di un Corriere della Sera, tramutatosi nell’edizione italiana di una specie di Pravda liberista mondiale (uno schieramento mediatico che può vantare tra gli "adepti" testate prestigiose, dal Wall Street Journal a riviste come The Economist, solo per fare qualche nome...). Pertanto, per chiunque ami la libertà di pensiero, la preoccupazione non può non essere grande…
In secondo luogo, e per fortuna, la superficialità e la parzialità delle idee “propagandate” è stupefacente. Lasciamo per ora da parte il filoamericanismo del Corriere, e soffermiamoci sul liberismo. Ora, come notato, sotto questo aspetto l’intervento di Padoa-Schioppa è emblematico. Il Ministro dell’Economia, per un verso tesse l’elogio retorico dell’Italia degli anni Cinquanta-Sessanta, che divorata da una positiva “ansia della rincorsa”, seppe crescere, sacrificandosi: un vecchio pistolotto… E per l’altro, puntando sulla “mozione degli affetti”, chiede nuovi sacrifici, senza però indicare con precisione quali, e, soprattutto, senza tratteggiare il volto dell’Italia del dopo-riforme liberiste. Ad esempio, vi saranno più o meno diritti sociali? Inoltre, Padoa-Schioppa parla di crescita come incremento di beni collettivi, ma non indica chi ne sarà l’ erogatore e il gestore . Lo Stato? Il Mercato? Il Terzo Settore? Non sono differenze da poco. Elenca gli sprechi da combattere, che nessuno nega, ma che nulla hanno a che vedere con le privatizzazioni, come invece i liberisti vogliono far credere. Dal momento che non esiste prova empirica che privato sia meglio di pubblico, soprattutto nei settori strategici (energia e telecomunicazioni), per non parlare di quelli legati ai diritti sociali (istruzione e sanità). Sprechi, malversazione, corruzione si contrastano con la “buona amministrazione” pubblica, spedendo in prigione i disonesti. E non svendendo le partecipazioni del Tesoro alle società multinazionali. Infine, Padoa-Schioppa, critica quell’Italia, a suo avviso poco collaborativa, che rifiuta i rischi della flessibilità. Ma evita di rimproverare le grande imprese come la Fiat, che da sempre scaricano sui contribuenti, grazie a complicità politiche, trasversali, perdite economiche, spesso derivanti da investimenti azzardati. Insomma, il Ministro dell’Economia, chiede “decisioni impopolari” ma a senso unico. “Propagandando” il solito liberismo per ricchissimi. Pare, infatti, che per Padoa-Schioppa, gli unici possessori di rendite, siano coloro che hanno “un contratto di lavoro inflessibile”: i soli lavoratori, a suo dire, “sempre più in contraddizione con la concorrenza mondiale e col cambiamento tecnologico”. Tradotto: in contrasto con una crescita economica internazionale trainata, e in modo socialmente disordinato e rapace, da pochi monopolisti interni ed esterni. In realtà, e per dirla tutta, di concorrenza mondiale, in senso liberista, sarebbe meglio non parlare. Lo sanno anche i bambini che non esiste e non esisterà mai, Ma, evidentemente, Padoa-Schioppa dà per scontato che il lettore del Corriere, e gli italiani tutti, ignorino questo fatto.
Ma, allora, perché continuare a tessere gli elogi del liberismo economico?
Delle due l’una: o il Ministro dell’Economia crede sul serio in quel che scrive, dimostrando però di capire poco o nulla di economia reale. Oppure finge. Il che, se fosse vero, sarebbe veramente mortificante… Tuttavia, in entrambi i casi, la “macchina propagandistica” del Corriere della Sera, punta di diamante italiana del cosiddetto partito (mediatico) liberista internazionale, può di fatto contare su un “artigliere” di alto livello, e fin dentro il governo. E così continuare a “sparare” sui refrattari. E, quel che è peggio, a incoraggiare, se non appoggiare apertamente, le concentrazioni bancarie in atto, mascherandole da “liberalizzazioni” favorevoli ai consumatori. Una vergogna.
Ma fino a quando? Per usare una citazione attribuita a Lincoln - uno statista che Mieli conosce e apprezza - , “potete ingannare tutti per qualche tempo, o alcuni per tutto il tempo, ma non potete prendere per il naso tutti per tutto il tempo”.

Carlo Gambescia

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