mercoledì 10 gennaio 2007

Il libro della settimana. Antonio Negri, Movimenti nell'Impero. Passaggi e paesaggi, Raffaello Cortina Editore, Milano 2006, pp. XIV303, Euro 21,50.



Antonio Negri, a parte qualche passato problemino  con la magistratura,  merita attenzione per l’ impeccabile curriculum accademico (ha insegnato scienze politiche a Padova e Parigi), e per la risonanza teorica, ideologica e politica di testi come Impero (2000) e Moltitudine (2004), scritti con Michael Hardt, professore americano di letteratura. Ma la merita anche per i problemi che solleva il suo tentativo di sciogliere il nodo tra scienza e ideologia (tra interpretare e cambiare il mondo). Una questione spinosa, che Marx ed Engels avevano risolto (semplifichiamo) "inventando" il “socialismo scientifico” : una dottrina, a suo modo coerente, perché capace di riunire scienza (il materialismo storico) e ideologia (il comunismo). E che invece Negri risolve sopprimendo il primo termine dell’equazione: la scienza.
Si consiglia perciò la lettura di Movimenti nell’Impero. Passaggi e paesaggi (Raffaello Cortina Editore, Milano 2006, pp. XIV-303, euro 21,50). Un testo che raccoglie le conferenze tenute da Negri nel 2003-2004, in Italia e all’estero, dopo aver riottenuto il passaporto. Felice di “girare il mondo”, come nota, “dopo venticinque anni (undici di galera effettiva e quattordici di esilio) ” (p. XI).
I “passaggi e paesaggi”, evocati nel sottotitolo, enfatizzano la repentina avanzata dei “movimenti” sociali, all’interno dell’Impero: questa dispotica struttura di comando, priva di un centro preciso, che regola gli scambi globali in modo impersonale, immaginata da Negri e Hardt. I “movimenti”, giocano perciò un ruolo importante, perché tendono a trasformarsi in passaggi (dilagando da un punto all’altro dell’ Impero), ma anche in nuovi “paesaggi” sociali e rivoluzionari (come in America Latina, in Europa, eccetera). Dal momento che sarebbero innervati, secondo Negri, da quella “tensione dell’ amore” (p. XIII) che condurrà, per strappi successivi (e non per evoluzione storico-dialettica), alla futura società comunista. Dove la “Moltitudine” (il nuovo proletariato mondiale “movimentista”), si affrancherà finalmente dall’ Impero.
Già questo mostra che Negri, da alcuni paragonato persino a Marx, non ha nessuna fiducia nella “scienza” del materialismo storico. Ma punta sulla rabbia sociale e l’improvvisazione. E che comunque preferisce l’ideologia: Negri immagina il comunismo come una società dove regnerà l’amore, e non come riteneva “laicamente” Marx, se ci passa l’espressione, la libertà di farsi i fatti propri, attingendo liberamente al prodotto sociale.
In proposito è illuminante la chiusa di Impero (Rizzoli, Milano 2001 ), degna dell’esplosione finale della Sinfonia n. 9 di Beethoven, piuttosto che di un trattato marxista: “Nella postmodernità, ci troviamo ancora nella situazione di San Francesco, a contrapporre la gioia di essere alla miseria del potere. Si tratta di una rivoluzione che sfuggirà al controllo, poiché il biopotere e il comunismo, la cooperazione e la rivoluzione restano insieme semplicemente nell’amore e con innocenza. Queste sono la chiarezza e la gioia incontenibili di essere comunisti” (p. 382).
Tema ripreso, in chiave millenaristica alla Ernst Bloch, anche in Moltitudine (Rizzoli, Milano 2004): “Possiamo già renderci conto di come oggi il tempo sia diviso tra un presente che è già morto e un futuro che è già vivente - l’abisso che li separa sta diventando enorme. Un giorno un evento ci proietterà come una freccia verso questo futuro che già vive: questo sarà il momento di un vero atto d’amore politico” (p. 411). E infine perfezionato in Movimenti nell’ Impero, dove Negri osserva che il processo rivoluzionario “attraversa dimensioni e determinazioni quanto mai concrete. Sono povertà e amore: la prima come causa motrice e la seconda come causa finale, forze che tengono sempre aperto e sempre riaprono il processo politico che spinge verso il comunismo” (p. 279).
Qui è interessante notare un fatto. In Marx, che segue Hegel, il momento politico si annulla nel materialismo storico. La politica non è che un momento secondario di una rigida dialettica storica che conduce alla sua scomparsa: nella società comunista la politica sarà sostituita dall’amministrazione. In Negri, che invece riprende Spinoza, la politica è tutta nella “potenza” o tensione” della cooperazione, che potrà dispiegarsi creativamente solo nella società (comunista), dove l’amore reciproco sostituirà completamente l’egoismo.
In sostanza, Marx giustifica il comunismo con la scienza (sbagliando però le previsioni…). Negri invece spiega il comunismo con il desiderio umano di amore e cooperazione. Ma non chiarisce, a differenza di Marx che ricorreva ai meccanismi “scientifici” del materialismo storico, come si potrà passare dall’Impero (post-moderno) al comunismo (post-storico) della “Moltitudine”. Per Negri, alla base della transizione vi sono le scelte collettive delle singole persone. Individui, da lui concepiti, come “macchine desideranti” amore, costretti a vivere, sfibrati dall’angoscia, nell’arido universo tardo capitalistico, secondo la lezione di Deleuze e Guattari. Insomma, se Marx si sforzava di unificare una scienza forte (il materialismo storico) con un’ideologia forte (il comunismo), Negri pretende invece di conciliare un individuo debole (il soggetto desiderante e angosciato) con una ideologia forte (il comunismo). Ma non spiega come questa soggettività desiderante e repressa potrà essere istituzionalizzata (divenire collettiva), né su quali istituzioni democratiche si reggerà il “mondo nuovo”. Né infine, dove e come, reperire le risorse per il reddito di cittadinanza mondiale, da lui caldeggiato.
E non sono spiegazioni di secondaria importanza. O no?
Carlo Gambescia

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