mercoledì 26 luglio 2006



Riflessioni semiserie sulla politica italiana.
Il centrosinistra




Il centrosinistra, ora forza di governo, spesso per bocca di Prodi, incensa a vanvera la cultura riformista. Perché a vanvera? Perché Prodi culturalmente si rifà a Dossetti e alla sinistra democristiana, che riformista non era. Ma piuttosto statalista, nel senso peggiore del termine. Quello dello statalismo cattolico: una specie di “universalismo applicato” attraverso le istituzioni pubbliche. E tuttora pronto a passare come un carro armato sulla testa di chi universalista non sia: forte con i deboli, debole con i forti… Si veda quel che è successo con le liberalizzazioni a danno di categorie, certo, “corporative”, ma che sicuramente non rappresentavano la punta di diamante dei poteri forti: i veri “corporativismi”. Con i quali invece lo statalismo riformista prodiano è sempre pronto a trattare, oggi come ieri: do you remember le rottamazioni Fiat. Il leader del futuro di questo tipo riformismo è probabilmente Rutelli: sai che risate.
Quanto alla sinistra vera e propria, si può parlare di almeno tre culture politiche: una riformista, una massimalista, una alternativa.
In primo luogo, ci sono i riformisti. La sinistra che guarda al centro: i Fassino, gli Amato, D’Alema, eccetera. Una sinistra blairiana (si pensi a quel brodo culturale che inonda le pagine di Repubblica, del Riformista , del Corriere della Sera , della Stampa). Una sinistra più lib che lab, che, almeno a parole, non vuole spaventare i ceti medi né scontentare i padroni del vapore. A grandi linee, anche se i riformisti di sinistra non lo ammetteranno mai, si tratta di liberalismo colorato di rosa, certo più laicista e giustizialista. Ma “economicamente corretto”: memorabile a riguardo, anche perché rinvia alla “rivoluzione” dei Girotondi (una specie di sinistra della sinistra riformista che frullerebbe dalla finestra D’Alema), una frase di Nanni Moretti pronunciata nella storica serata di piazza Navona: “I politici sono i nostri dipendenti, devono rigare dritto altrimenti li licenziamo”. Degna del liberalismo imprenditoriale berlusconiano... Se fossimo nei panni del ceto medio statale che vota centrosinistra (impiegati, insegnanti, dipendenti pubblici) diffideremmo di questa gente. Ovviamente, i riformisti blairiani sono tutti filoamericani. Pilastri culturali, veri e propri, non ce ne sono: si naviga a vista: tra Giddens, Cacciari, Veltroni e l'Adelphi di Galasso. Bobbio l’hanno messo in soffitta. Vittorio Foa lo intervistano quando conviene.
In secondo luogo, ci sono i massimalisti: Sinistra Ds, Verdi, Comunisti italiani, Rifondazionisti, no global in libera uscita (si spera di non aver dimenticato nessuno...). E qui basta sfogliare le pagine del Manifesto e Liberazione. E a giorni alterni L’Unità. E’ la vecchia cultura del Pci, “partito di lotta e di governo”. I nuovi massimalisti vogliono come i vecchi, quelli del socialismo prefascista, tutto e il suo contrario: l’attuazione del “programma massimo” senza soffrire… Aumento dei salari e controllo dei prezzi; stessa quantità di rifiuti ma meno inceneritori, sicurezza del posto di lavoro e flessibilità. Odiano Berlusconi, ma sono disposti a chiudere un occhio, sui “capitalisti di sinistra” (vedi alla voce De Benedetti). A Blair preferiscono Zapatero, chiudendo entrambi gli occhi sulla sua politica economica di destra. Criticano l’America, ma non troppo ( prima dicono sì al ritiro delle truppe italiane dalle zone calde, poi che se ne può discutere…). I massimalisti non piacciono ai padroni duri e puri, né ai ceti medi ricchi o agiati. Ma si prendono i voti di coloro che temono di perdere lavoro e pensione: si spera solo che non li deludano… Di pilastri culturali ne hanno anche troppi. Vecchi leoni sempre ruggenti, e un po’ appartati, come Mario Tronti. Leoni spelacchiati e presenzialisti come Asor Rosa E presenzialisti, tipo vorrei ma non posso, come Toni Negri. Chi ne vuole sapere di più sulla evoluzione del massimalismo più acculturato si legga qualche annata dell’ Ernesto e di Alias.
In terzo e ultimo luogo, c’è una sinistra “alternativa” antiamericana e anticapitalista, che studia e lotta: che non chiude un occhio né su Berlusca, né sul sistema: non fa sconti a nessuno. Ed è rappresentata da tutti quelli che guardano in cagnesco riformisti e massimalisti. E' una cultura di lotta e non di governo: include la parte più tosta dei no global, i gruppi antimperialisti, trotzkisti e movimentisti vari. Molto attiva in Rete. Ha probabilmente come pensatore più rappresentativo Costanzo Preve. Un vero battitore libero, privo di quei legami col mondo accademico, che spesso limitano il pensiero, pur profondo e interessante, di autori come Zolo e Barcellona. Si tratta di una sinistra che può crescere, anche politicamente e rappresentare un punto di riferimento per un ceto medio che rischia di proletarizzarsi, e pagare così di persona  gli errori di politica economica del governo.
Quale sinistra avrà la meglio?
Carlo Gambescia

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