lunedì 12 giugno 2006


Sul dialogo tra giudici e politici
La magistratura, 
un'analisi realistica 



Gli inviti al dialogo tra politica e magistratura e i ripetuti giuramenti, anche di figure autorevoli, di voler difendere l’indipendenza della magistratura, fanno parte di una specie di repertorio dei luoghi comuni di certa modernità che si dice liberale…
Sarebbe invece più onesto parlare di battaglia per il controllo della magistratura. Perché? La magistratura italiana,  in più o meno due secoli di storia è sempre stata sottomessa al potere politico. Naturalmente  il problema non è solo nostro...
Le istituzioni, come veri e propri organismi biologici, hanno una loro vita naturale: si espandono se non trovano ostacoli, e si bloccano o regrediscono se ne incontrano. Ma per espandersi servono risorse economiche proprie. E la magistratura, uno dei bracci del moderno stato liberale, non ne ha mai possedute, come del resto ogni altro corpo amministrativo. Ha perciò sempre confidato in poteri più forti di lei: che pagano i conti ma pretendono… Ad esempio, in Italia, i giudici sono sempre stati ligi al potere, ma anche attenti a ingraziarsi le forze politiche che sembrava fossero lì lì per conquistarlo, come negli anni di Tangentopoli. Ovviamente, tutte le forze politiche in campo hanno sempre issato la bandiera dell’indipendenza della magistratura. Qualsiasi riforma, come ogni controriforma, è tuttora presentata come “tesa a ripristinare la libertà e l’indipendenza dei giudici”. In realtà, si tratta solo di una lotta all’ultimo sangue - è bene ripeterlo - per il controllo politico della magistratura.
E i giudici? Generalmente si sono sempre divisi tra minoranze politicizzate di destra e sinistra (più di destra, almeno fino agli Sessanta del Novecento) e maggioranze politicamente indifferenti, pronte però a ubbidire, come ogni altro dipendente statale, a chi può aprire o chiudere i cordoni della borsa (in termini di offerta politica di mezzi e risorse istituzionali)
Pertanto si continua ad assistere, come nella commedia umana balzachiana, a un ripetersi di ipocrite discussioni giuridiche, che servono solo a nascondere le asprezze di una lotta di potere, del resto naturale, tra forze politiche opposte, prontamente affiancate da quelle minoranze di magistrati che ne condividono gli scopi. E nonostante tutti sappiano come stiano le cose, si continua ad aspettare la riforma definitiva: il miracoloso giorno in cui la magistratura diverrà indipendente, e per sempre…
Non è necessario essere sociologi, per capire che i poteri non sono soltanto tre come sostiene certo costituzionalismo (esecutivo, legislativo, giudiziario), ma molti di più: economico, religioso, culturale, tanto per indicarne alcuni. Che dietro il potere politico e formale dello stato, ci sono poteri concreti (partiti, forze economiche, potenze straniere), inclini a espandersi “naturalmente”, ognuno per sé e danno degli altri. E che in mezzo a questi giganteschi lottatori di Sumo il giudice assomiglia al famoso vaso di coccio tra i vasi di ferro.
Che fare? Prendere atto della realtà: la magistratura, come potere sociale autonomo non è mai esistita. Ma anche capire che se lo diventasse, acquisendo risorse economiche proprie, si trasformerebbe da organo dello stato in istituzione privata, pronta a lottare pur di espandersi. Certo, la magistratura, così com'è , senza risorse proprie, subisce chi comanda.  Tuttavia se ne avesse (il che però in pratica è impossibile: come privatizzare la magistratura penale?), potrebbe emanciparsi ma anche entrare in conflitto con le altre istituzioni, giuridiche o meno.
Detto in breve: da un lato c’è la sottomissione al potere, dall’altro la guerra civile tra poteri. E in mezzo, le chiacchiere  sulle “riforme” e le finte liti di cortile tra politici e magistrati, le promesse di Mastella e i giuramenti di Napolitano.

Altro che "Terzo Potere"...

Nessun commento:

Posta un commento