lunedì 26 giugno 2006

Che fine ha fatto il progetto 
Google di una biblioteca universale on line?.




Certo siamo tutti (o quasi)  ospiti di Google.  E di questo siamo grati. Ma non possiamo fare sconti. Ergo: subito qualche riflessione in argomento.
Una biblioteca può essere un luogo misterioso, ricco di significati nascosti, dove si possono fare buoni e cattivi incontri o perfino smarrirsi. A loro volta i libri, come ci ha insegnato Borges, pur avendo vita e propria, spesso interferiscono, seguendo vie invisibili con quelle degli uomini. Se poi dietro questa Babele di significati, rinvii simbolici, genealogie culturali vi sia un ordine o un disegno generale è cosa molto difficile da scoprire e imporre. Ogni libro, come ogni individuo, è unico, come sono uniche le reazioni di ogni lettore. E dal momento che ogni lettore non può avere letto gli stessi libri, ogni libro letto in più o in meno può fare la differenza: può cambiare la prospettiva individuale di lettura verso lo stesso libro, magari letto insieme a centinaia di migliaia di persone. Ogni lettore ne può dare insomma una valutazione personale, proprio in base ai libri letti.
In primo luogo, si può definire come un tentativo di mettere ordine, troppo ordine, nella Babele degli intriganti significati, veicolati dai libri. Stando alle notizie di stampa, apparse sui giornali circa un anno fa, Google dovrebbe acquisire circa 16 milioni di volumi. Ma chi li sceglierà? E con quali criteri? Si darà particolare importanza al “Canone Occidentale“? Oppure alle altre tradizioni? Il numero dei volumi da acquisire può apparire enorme, ma in realtà non è così. Si dovranno fare delle scelte. E le scelte implicano gerarchie (in tutti in sensi). Di riflesso a rimetterci saranno le culture “minori” e non occidentali. L’ “ordine”, di regola, riduce la complessità, ma causa impoverimento.
In secondo luogo, l’impoverimento dei significati porta inevitabilmente con sé, l’indebolimento della cultura individuale. Ad esempio, in futuro un libro che non sarà su internet potrà essere ritenuto non indispensabile, e quindi non degno di essere letto o comunque difficile da reperire. Di qui quella pericolosa uniformità di prospettive che finisce per accomunare tutte le persone che leggono, e solo, gli stessi libri. Sembra impossibile che tutti riescano a leggere 16 milioni di libri on line. Giusto, ma non è invece impossibile, che una volta divisi per discipline, materie e generi, interessi, i testi “disponibili” possano ridursi di numero e quindi essere più o meno gli stessi.
In terzo luogo, il meccanismo del libro on-line può diventare uno strumento di controllo e filtro di tutto quello che verrà successivamente pubblicato: sia riguardo ai canoni culturali predominanti, sia riguardo alle scelte politiche. Inoltre, dal momento che per un libro ( e quindi per editori e autori), essere su internet sarebbe di per sé motivo di distinzione, potrebbero verificarsi forme di autocensura e di conformismo verso gli stereotipi dominanti. E non andrebbe neanche esclusa la nascita di un mercato degli accessi a internet, con le conseguenti guerre di mercato, prove di forza, cartelli, casi di corruzione, eccetera.
In quarto e ultimo luogo, la “biblioteca” on line può accentuare quel processo di trasformazione in museo (o sede di “eventi”) della biblioteca tradizionale, che rischia così di restare appannaggio di elitari gruppi di studiosi: gli ultimi e fortunati abitanti di Babele. In questo modo però la separazione tra togati e popolo on line consacrerebbe il fallimento dell’intero progetto moderno di massima diffusione dell’alta cultura.
Alcuni commentatori, probabilmente per nobilitarlo, hanno paragonato il progetto Google a quello messo in atto dai monaci medievali, che rinchiusi nei monasteri, ricopiarono e ci trasmisero le grandi opere dell’antichità greca e romana. Molto edificante. Ma siamo poi così sicuri che i pii monaci ricopiarono tutto? Per scoprirlo bisogna andare in biblioteca… Ed è meglio affrettarsi.

Carlo Gambescia

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