lunedì 24 aprile 2006


Per andare oltre le sciocchezze  complottiste
Sociologia del 
Fondo Monetario Internazionale



Uno dei meriti della sociologia è quello di spiegare perché i comportamenti sociali  acquisiscano forza propria e dunque indipendenza da chi li pone in essere.
Ad esempio, c'è il comportamento ideale del "Buon Padre di Famiglia" (svolgere un lavoro regolare, educare ed accudire i figli, essere d'esempio, ecc.), e c'è il comportamento pratico del singolo individuo, che si sforza di essere un "Buon Padre di Famiglia": il comportamento ideale (stratificatosi nel tempo e frutto di una pressione socioculturale esercitata dal gruppo sull'individuo) è un esempio di comportamento istituzionalizzato, che ha assunto, attraverso la reiterazione sociale, forza propria e indipendenza, fino al punto di condizionare i comportamenti individuali e di riflesso rafforzare quelli di gruppo. Il comportamento istituzionalizzato riguarda ogni modello socioculturale di comportamento reale (anche quelli socialmente devianti: ad esempio un gruppo di mafiosi ha comunque le sue regole istituzionalizzate di comportamento), e perciò piaccia o meno, esercita un ruolo determinante nella vita sociale.
Ora, qual è il comportamento istituzionalizzato del "gruppo socioculturale" Fondo Monetario Internazionale"? Si possono distinguere due fasi. La prima, tra il 1944-46 (anni della sua ideazione- istituzione) e il 1971 (anno della dichiarazione nixoniana dell'inconvertibilità del dollaro), il FMI ha aiutato lo sviluppo, in temini di keynesiani, senza badare troppo all'entità e ai tempi di restituzione dei prestiti internazionali. Nella seconda fase, che va dal 1985 ad oggi, il FMI ha privilegiato il monetarismo e le politiche restrittive di bilancio, condizionando prestiti a rigorosi risparmi sulla spesa sociale. Tra la prima e la seconda fase si è avuto un periodo di interregno (1972-1984), segnato dalle crisi petrolifere e dall'ascesa di politiche monetariste e neoliberiste (la Thatcher diviene primo ministro nel 1979, Reagan presidente nel 1981).
Ora, non è perciò vero come di solito si sostiene, che il FMI nella prima fase non abbia dominato la politica economica internazionale. L'ha dominata servendosi di politiche creditizie "dolci". Che nella seconda fase si sono fatte piuttosto "amare". Pertanto chi protesta, e anche giustamente, contro le politicamente illegittime intrusioni del FMI negli affari interni italiani o di altri stati, deve anche accettare il fatto che siamo davanti al tipico comportamento istituzionalizzato, di un determinato e potente gruppo socioculturale, che dura da circa sessant'anni: E dunque vista la pressione che esercita e il rinforzo che subisce al tempo stesso, non sarà facile "deistituzionalizzarlo". Anche perché, e questo è un altro elemento sociologico che andrebbe indagato a fondo, al di là della nazionalità dei suoi funzionari (di alto come di medio e basso livello), sussiste un vero e proprio rapporto di osmosi culturale e di mobilità intraprofessionale, tra il FMI, le banche centrali statali e regionali, le società di rating, di investimento internazionale e perfino i singoli governi nazionali. Un reticolo istituzionale molto denso. E da questa angolazione, le privatizzazioni internazionali degli anni Ottanta-Novanta, con i funzionari del FMI, in prima fila come attori protagonisti, hanno costituito una specie di zona economica, franca ( e grigia), che ha visto convergere gli interessi e i valori (liberisti e monetaristi, coincidenti con quelli del grande capitalismo mondiale) di alti funzionari pubblici, privati, e interni allo stesso FMI. E in tal senso l'opera di questi fattori inclusivi ha favorito come in un circolo virtuoso (?) la riproduzione sociale del reticolo di cui sopra.
Pertanto non sarà facile liberarsi dal pesante condizionamento del FMI: al di là del ruolo giocato al suo interno dagli Stati Uniti e dal capitalismo monopolistico, esiste una forte componente sociologica (appunto di tipo istituzionale e di composizione socioculturale del "gruppo FMI"), che può rendere tutto più difficile. Se per ipotesi il potere Usa e quello del capitalismo monopolistico mondiale dovessero indebolirsi, resterebbero 2 0 3 generazioni di economisti e funzionari del FMI da "rieducare". Ma come? Su quali basi teoriche e socioculturali? Il keynesismo? Che però riflette un capitalismo che aveva ancora bisogno dello stato nazionale?
Ecco dunque il vero problema: oggi manca totalmente una teoria economica e socioculturale credibile, e capace di conquistare e mutare menti e comportamenti dei quadri dell' economia e della politica. A cominciare da quelli del FMI.
Il ricorso all'uso della forza, o di incapacitanti teorie "complottologiche" non serve assolutamente a nulla.

Occorrono idee nuove.

Carlo Gambescia

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