giovedì 2 marzo 2006


Profili/16 
Harry Braverman 



Harry Braverman  (1920-1976) è autore di un libro molto importante, Labour and Monopoly Capital. The Degradation of Work in the Twentieth Century (1974, trad. it. Einaudi Torino 1978). Si tratta probabilmente dello studio più approfondito sui rapporti tra lavoro e strutture economiche e sociali mai apparso dalla pubblicazione del Libro I del Capitale di Marx. Il giudizio può apparire eccessivo ma una volta letto il capolavoro di Braverman, come accade quando si legge Marx, si capisce perché  il capitalismo plus ça change plus c'est la meme chose.
Harry Braverman nasce nel 1920 a New York City da modestissima famiglia. E' costretto per ragioni economiche a interrompere gli studi al primo anno di college. Lavora per sette anni come calderaio al Brooklyn Navy Yard, e poi per altri sette nell'industria metalmeccanica come raccordatore, lamierista e tracciatore. Al lavoro operaio unisce dal 1937 un'intensa attività politica all'interno del Socialist Work Party ( di derivazione trotzkista). Dal quale viene espulso all'inizio degli anni Cinquanta, per le sue posizioni moderate. Nel 1954 fonda e diviene coeditore dell' "American Socialist". E dopo la sua chiusura (1959), diviene redattore della Grove Press (1960), e in seguito direttore editoriale della "Monthly Review Press" (1967). Un male incurabile lo uccide a cinquantasei anni nel 1976.
Giornalista (spesso firmandosi Harry Frankel), saggista politico , attento studioso di Marx e del marxismo, e in particolare del Libro I del Capitale , Harry Braverman ha colto in Labour and Monopoly Capital due aspetti costitutivi dell'organizzazione capitalistica del lavoro, che non riguardano solo la realtà americana, da lui attentamente studiata nel libro.
Il primo è che il lavoro è sottoposto a un costante processo di razionalizzazione e degradazione. La razionalizzazione, frutto della divisione capitalistica del lavoro, è dovuta soprattutto alla costante necessità di ridurre i costi e accrescere i profitti. La degradazione sociale ne è invece l'effetto collaterale: al lavoratore, a poco a poco, non si richiede più alcuna partecipazione ideativa, ma solo una meccanica esecuzione di compiti prestabiliti. Fin qui, si potrebbe, dire nulla di nuovo. Ma il valore dell'analisi di Braverman è nel fatto che egli reputa questo processo così profondo da trasformare il lavoratore, non tanto (o solo) nel proletario sociale di Marx, quanto in un proletario psichico: una specie di uomo-macchina, che viene privato di qualsiasi capacità creativa.
Il secondo è che il rapporto capitalistico di lavoro è sempre di tipo gerarchico. Secondo Braverman, le teorie sulla democrazia sindacale sono una specie di "libretto dei sogni" del riformismo borghese. Il capitalismo è divisione del lavoro e perciò non può non essere anche gerarchico. Altrimenti l'organizzazione produttiva non potrebbe funzionare. Ma attenzione, a differenza di Marx, Braverman ritiene che un sistema economico, come quello capitalistico, che si riproduce, solo crescendo in chiave monopolistica, sia condannato a diventare sempre più gerarchico. Di qui la difficoltà di contrastare e superare una così perfetta macchina dello sfruttamento umano. E questo perché la gerarchia produttiva, economica e sociale, può avvalersi in misura crescente di docili lavoratori "addestrati" a pensare secondo le esigenze del capitale. Una proletarizzazione delle menti, che si avvale anche di un ben costruito sistema di stratificazione sociale (Braverman, parla di "proletariato commerciale" i termini di lavori svolti, ma anche come soggetto-oggetto di gratificazioni consumistiche). Si tratta perciò di un nemico molto articolato e difficile da combattere.
E in questo senso, a differenza di Marx, Braverman non confida nella dialettica delle forze produttive e sociali. Ma nella capacità delle scienza moderna di fornire all'uomo gli strumenti conoscitivi e pratici per fuoriuscire dal capitalismo (un aspetto che si coglie soprattutto leggendo i suoi scritti giornalistici sul futuro del socialismo).

A dire il vero, questo ottimismo scientista mal si concilia con il lucido realismo ( e per alcuni pessimismo, ad esempio Christopher Lasch) delle sue analisi. Comunque sia, gli strumenti forniti da Braverman (proletarizzazione delle menti e riproduzione gerarchica) consentono di criticare e respingere come erronee le teorie che oggi giustificano l'evoluzione postfordista del capitalismo. Dal momento che Braverman spiega, e con grande lucidità, perché il capitalismo malgrado gli sforzi di sembrare diverso (si leggano ad esempio le pagine illuminanti sul "mito della qualificazione del lavoratore", sembrano scritte oggi) continui invece ad apparire, all'osservatore attento, identico al capitalismo dei Taylor e dei Ford. 

Carlo Gambescia

Nessun commento:

Posta un commento