lunedì 20 marzo 2006


Paradossi italiani
Berlusconi e Confindustria



Il fuori programma di Berlusconi a Vicenza è significativo. Almeno per due ragioni.
La prima è che il Cavaliere ormai sente odore di sconfitta. E di conseguenza punta tutto sui numeri a effetto. E' un ottimo venditore, e lo ha provato di nuovo a Vicenza : è riuscito a dividere e infiammare l'uditorio. E comunque a riscuotere un certo consenso, soprattutto tra i peones (i medi imprenditori). Il che però non gli permetterà di vincere.
La seconda è che finalmente è venuto allo scoperto l'atteggiamento di totale chiusura dei vertici di Confindustria nel riguardi del fondatore di Forza Italia. Basta leggere i giornali di oggi ("Berlusconi ci vuole dividere, eccetera.."). Ora, è vero che nel 2001, Berlusconi fu appoggiato da D'Amato, altro outsider, ma è altrettanto vero che già all'epoca, tra gli industriali aveva più nemici che amici. Venne appoggiato da Confindustria più per porre riparo alla dannosa litigiosità del centrosinistra, (quattro governi in cinque anni), che per meriti propri.
Perché questa ostilità nei riguardi di Berlusconi?
In primo luogo, perché i vertici dell'economia italiana lo considerano un parvenu. Si pensi all'atteggiamento snobistico nei suoi riguardi della famiglia Agnelli (ad esempio il rifiuto di Montezemolo,  attuale Presidente di Confindustria,  di far parte, anche come esterno, del governo di centrodestra, proprio lui che in passato, come in occasione dei Mondiali '90, aveva invece accettato incarichi parapolitici dal Pentapartito). Berlusconi perciò viene considerato un avventuriero: un uomo venuto dal nulla. Il che è vero. Ma va detto che anche gli Agnelli, fino alla prima guerra mondiale furono giudicati tali. E qui basta sfogliare qualsiasi buona storia sociale dell'industria moderna, per scoprire che sussistono pesanti "differenze di classe" anche all'interno degli ceti economicamente dominanti. La ricchezza per diventare "onorevole", deve avere almeno un secolo di consolidamento alle spalle. E La fortuna di Berlusconi ha meno di trent'anni.
In secondo luogo, e questo è un dato di sociologia politica (documentato da ricerche), nelle democrazie post-seconda guerra mondiale, e non solo in Italia, i vertici economici hanno sempre preferito governi di centrosinistra (attenzione di centrosinistra, non di sinistra in senso stretto), dal momento che questi hanno garantito e garantiscono, grazie al rapporto privilegiato con i sindacati, eventuali riforme del mercato del lavoro, o comunque di ancorare, grazie al consenso concertato tra le parti sociali, riforme e alta produttività del lavoro. Un solo esempio: le riforme italiane in senso liberista del mercato del lavoro, sono state introdotte negli anni Novanta dai governi di centrosinistra. Di qui l'inutilità per Confindustria di un Berlusconi incapace, non solo di controllare i sindacati, ma addirittura di trattare...
La vera domanda, al di là del folclore pro o contro il Cavaliere, è appunto questa: può Berlusconi garantire quella radicale riforma del mercato del lavoro in chiave liberista, che Confindustria invoca da anni. No. E chi può garantirla? Prodi e il centrosinistra.
Il tragico paradosso italiano è tutto qui. Da un lato un Berlusconi che vara leggi ad personam, e dall'altro un centrosinistra che si prepara a realizzare, malgrado alcune sue componenti minoritarie non siano d'accordo, una radicale riforma del mercato del lavoro. E probabilmente anche delle pensioni.
Altrimenti come spiegare il totale appoggio di tutta la stampa ( che una volta si chiamava in senso spregiativo confindustriale) al centrosinistra. Prodi che di solito è così cauto, dovrà pure aver promesso qualcosa a Montezemolo.

E sarebbe bello, prima di andare a votare, magari per il centrosinistra, capire che cosa... 

Carlo Gambescia

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