mercoledì 30 novembre 2005

Il libro della settimana: Carl Schmitt, Un giurista davanti a se stesso. Saggi e interviste, a cura di G. Agamben, Neri Pozza, pp.320, Euro 34,00


http://www.neripozza.it/collane_dett.php?id_coll=6&id_lib=86



Carl Schmitt è sicuramente uno dei pensatori politici più importanti e complessi del secolo XX. I suoi innumerevoli interpreti ne hanno riletto l'opera sotto i più diversi punti di vista. La bibliografia su Schmitt è oggi ricchissima. Non è perciò facile dire qualcosa di nuovo o di originale su di lui. Nemmeno a un filosofo, oggi molto citato e apprezzato come Giorgio Agamben, che ha curato, questa notevole silloge di interviste e saggi schmittiani.
Infatti la sua introduzione nulla toglie e nulla aggiunge dal punto di vista critico. L'unica nota di "colore" è rappresentata dal tentativo di Agamben di ricondurre il pensiero schmittiano, nell'alveo della "biopolitica" (pp. 21-24), una corrente di pensiero filosofico-politico, oggi tornata in auge.
Ora, nessuno nega la legittimità di ricostruire l'intera storia del pensiero politico da Platone e Rawls, sotto l'aspetto del cosiddetto controllo dei corpi esercitato dall'apparato politico. Però, insistendo troppo sul punto specifico, come fa Agamben, si è filosoficamente alla moda, ma si corre anche rischio di dire cose scontate. E soprattutto di ricondurre, come accadeva ai positivisti di fine Ottocento, l'agire umano entro coordinate estremamente rigide (la materia ieri, il corpo oggi). Inoltre, per quel che riguarda la teoria politica schmittiana, privilegiare il presunto aspetto biopolitico del suo pensiero significa perdere di vista l'aspetto sociologico della sua analisi. Certo, è vero , come nota Agamben, che in Schmitt è sempre il "politico" a decidere che cos'è impolitico. Ma è altrettanto vero, che il politico, non può prescindere dal rapporto con l'impolitico. Dal momento che per Schmitt, il politico, senza impolitico, finisce sempre per essere una relazione priva di uno dei due termini. Il capo e il movimento da un parte, senza il popolo dall'altra, non esistono e viceversa. O per dirla in termini sociologici: senza istituzione non c'è processo sociale, e senza processo sociale non c'è istituzione. E rappresentare questo schema sociologico solo in termini di controllo da parte delle istituzioni del processo, significa privilegiare, come appunto fa Agamben, soltanto una parte, e per giunta la meno di interessante, del pensiero di Schmitt.
A prescindere da queste critiche il volume merita comunque di essere letto perché raccoglie molto materiale biografico (soprattutto le interviste) che se studiato attentamente, e non alla luce delle fuorvianti e riduttive ipotesi proposte da Agamben, può offrire utili spunti interpretativi. 

Carlo Gambescia

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